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Ripensare il triangolo delle Bermuda (Ue). La lezione del Consiglio europeo secondo Pennisi

Si è appena concluso il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo dei 27- del 15 e 16 ottobre che è seguito, quasi a ruota, quello straordinario del primo e 2 ottobre. I risultati delle due assise sono stati magri tanto che le riunioni hanno anche avuto un modesto risalto mediatico. L’esito più consistente è la lettera, un garbato ultimatum, alla Gran Bretagna per il completamento del negoziato sul mercato unico tra Unione europea (Ue) e Gran Bretagna entro la fine dell’anno.

L’attesa presa di posizione su un’eventuale strategia europea in materia sanitaria (Covid-19) è stata espressa in un comunicato diramato alle 0.17 della mezzanotte tra il 15 ed il 16 ottobre con contenuti simili all’acqua fresca (appello ad un approccio coordinato ai limiti alla libertà di circolazione, un auspico alla collaborazione in vista della messa a punto di vaccini), nonostante la pandemia stia devastando l’Ue. Vaticini da oratorio parrocchiale anche in materia di strategia europea in campo di cambiamenti climatici. Altri temi (Africa) importanti in sé stessi ma di poco momento sotto il profilo della politica europea se non collegati ad una strategia di condivisione in materia di immigrazione (che pare interessi unicamente Italia, Grecia, Cipro e Malta ed a cui gli altri fanno spallucce).

Nulla, assolutamente nulla, in materia di Next Generation Eu e Resilience and Recovery Fund, bloccati nella triangolazione Commissione, Consiglio, Parlamento che caratterizza il processo decisionale dell’Ue e che si dovrebbe chiamare, a mio avviso, il triangolo delle Bermuda Ue. Ed è un meccanismo unico al mondo, ma complesso e farraginoso, fatto di veti e contro-veti sia dei singoli Stati membri sia delle stesse istituzioni Ue.

In questa crisi, la Commissione si è mossa rapidamente ed anche il Consiglio nella lunghissima sessione del luglio scorso. Il Parlamento sta cercando di farsi valere in materia di “valori europei” e “stato di diritto” nei confronti di Polonia ed Ungheria. Obiettivo lodevole, ma occorre chiedersi quando sia saggio prendere in ostaggio, come leva per farli valere, il Next Generation Eu e Resilience and Recovery. Dando così anche un alibi agli Stati che più sono in ritardo in materia di approntamento dei piani di riforma e dei relativi progetti.

Se c’è una lezione che si è appresa da queste due sessioni del Consiglio è l’urgenza e la necessità di ripensare il processo decisionale nell’Ue. L’Italia potrebbe proporlo. In tal modo potrebbero avvicinarsi alle problematiche europee anche forze politiche interne che hanno mostrato disaffezione nei confronti dell’Ue. La risposta degli altri Stati membri dell’Ue sarebbe una chiara indicazione dell’autorevolezza, o meno, del nostro Paese.

Il prossimo semestre europeo a guida italiana è tra diversi anni. Non bisogna aspettare quella occasione per lanciare la sfida.

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