Mentre in Italia la questione Libia segue una declinazione di politica interna legata alla vicenda dei pescatori tenuti prigionieri in Cirenaica – domani il presidente dei senatori di Italia Viva, Davide Faraone, presenterà un’interrogazione per pressare il governo sul caso, mentre oggi Lega, Fd’I e FI sono all’attacco – a livello internazionale proseguono i contatti per la stabilizzazione del Paese. Tra questi certamente rientra anche l’incontro moscovita del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che al fianco del suo collega russo Sergei Lavrov ha spinto soprattutto perché l’Onu risolva in fretta la pratica dell’inviato speciale sul dossier libico.
L’incarico è vacante da marzo, quando è stato affidato ad interim all’americana Stephanie Williams per far fronte alle dimissioni di Ghassan Salamé. Il diplomatico di origini libanesi aveva lasciato l’incarico perché esausto per via dell’inconsistenza nei processi politico-negoziali: il dossier era in stallo, gli uomini del miliziano ribelle Khalifa Haftar (gli stessi che tengono in ostaggio i pescatori italiani) erano ancora alle porte di Tripoli intenzionati a prendere la capitale e rovesciare il governo onusiano Gna.
Ora lo scenario è cambiato – e lo stesso Salamé parla di una situazione mai così prossima a una soluzione. Haftar è ancora presente, sostenuto anche dai russi, ma è stato costretto in Cirenaica dall’intervento turco al fianco del Gna. Nel frattempo è partito da qualche settimana un fitto sistema negoziale attorno a cui si snodano diversi processi diplomatici e si muovono vari attori. Il ritorno dell’Onu con una nomina definitiva sarebbe importante, sebbene Williams sia molto esperta e preparata, nonché attiva in questa delicata fase.
La dichiarazione di Di Maio ha aperto spazio all’allungo del collega russo sul tema: “”Noi sappiamo che sono gli Stati Uniti a ostacolare la decisione del segretario generale della Nazioni Unite” sulla nomina del delegato per il dossier. Poi Lavrov ha aggiunto: “Noi vogliamo una rapida conclusione del conflitto in Libia, ma non possiamo non ricordare che è stata la Nato ad avviare la crisi bombardando quel Paese”.
E così, mentre Di Maio parlava della necessità di difendere il dialogo intra-libico – aperto sia sul fronte politico tra i parlamenti di Tripolitania e Cirenaica, sia su quello della riapertura dei pozzi petroliferi – Lavrov aggiungeva che “condividiamo con l’Italia la necessità di risolvere presto la questione” del delegato Onu e sfruttava l’occasione per attaccare gli Usa e la Nato. Come se la Russia non fosse parte in causa nella crisi: Mosca ha dato sostegno alle ambizioni militariste di Haftar e si è incuneata nell’Est del paese per costruire avamposti tattici affacciati sul Mediterraneo.
Tutt’ora il sostegno russo agli haftariani, sia militare che politico-diplomatico, è uno dei fattori che complica parte dei negoziati. Il Cremlino vuole sostituire Williams anche perché è stata spesso severa con la Russia, smascherando – sotto egida Onu – la presenza di armamenti nella Cirenaica e dei mercenari della Wagner al fianco dei miliziani di Haftar. Ossia, Williams ha più volte sottolineato che la Russia sta di fatto dando sostegno a chi si oppone al piano Onu per la pace in Libia. L’Italia s’è esposta alla necessità russa (in ballo c’è la nomina di un bulgaro), ma rivendica anche una necessità propria: ossia avere un delegato con pieni poteri – che potrebbe essere anche Williams però.