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La sfida europea per la sovranità digitale arriva nello Spazio. Il punto di Spagnulo

“L’Unione Europea deve dotarsi di una propria costellazione di satelliti per Internet ad alta velocità con connessioni ultra-sicure per garantire la sua sovranità digitale”. Queste le parole rilasciate dal Commissario europeo Thierry Breton al quotidiano Le Figaro. Il vero capo dello Spazio in Europa per i prossimi anni sarà lui e chiunque verrà nominato direttore generale dell’Esa (nomina attesa nelle prossime settimane) dovrà giocoforza seguire le sue indicazioni. È a Bruxelles che l’Ue a trazione franco-tedesca decide la strategia spaziale usando risorse proprie e indirizzando quelle dell’Esa.

Secondo Breton l’Ue investirà più soldi nei lanciatori, nelle comunicazioni satellitari e nell’esplorazione per tenere il passo con Stati Uniti e Cina. E per preservare la propria “sovranità digitale” dovrà anche costruire una sua costellazione di satelliti per comunicazioni sicure. Queste affermazioni vanno lette anche alla luce del progetto Gaia-X, il “cloud” tutto europeo che francesi e tedeschi vorrebbero realizzare in alternativa a quelli americani e cinesi dove oggi sono “parcheggiati” i dati digitali dei cittadini europei. Cosa c’entrano i satelliti con Gaia-X? Il collegamento è intuibile sebbene complesso nelle sue sfaccettature. Si pensi alle questioni geopolitiche sul 5G, per esempio. Una costellazione satellitare di comunicazione per quanto abbia una sua propria struttura di rete dovrà comunque “allacciarsi” a quelle terrestri in determinati “access points”. Ciò è evidente nei progetti statunitensi di Amazon e Microsoft.

Tra i due colossi è in corso una guerra sul terreno etereo ma immanente del cloud, l’universo digitale di dati e applicazioni di cui disponiamo sui nostri più disparati dispositivi. La nuvola però è tutt’altro che immateriale; è costituita da una rete distribuita di server interconnessi. Microsoft, con la controllata Azur Orbital, vuole realizzare nuove stazioni di terra che fungano da “smart-gateway“ tra l’accesso alle reti in fibra, i satelliti esistenti e appunto il proprio cloud globale. Amazon vuole fare la stessa cosa con la sua AWS (Amazon Web Services), ma in più pensa di lanciare entro il 2029 una propria costellazione di 3.300 satelliti, il progetto “Kuiper”, con un investimento di 10 miliardi di dollari. La Federal communications commission ha approvato l’uso delle frequenze in banda Ka e così AWS punta alla connessione globale LTE e 5G ad alta velocità integrando i suoi satelliti al proprio cloud che già oggi gestisce 1,3 miliardi di transazioni al giorno.

L’obiettivo dei due colossi è quello di essere il perno dell’Internet delle cose prossimo venturo. Sebbene molti pensino che AWS sia in ritardo rispetto alla SpaceX che ha già iniziato a lanciare i suoi satelliti Starlink, il vantaggio competitivo di Amazon è proprio nella pervasività commerciale del suo cloud che domina il mercato con una quota del 45%, seguito da Microsoft Azure con il 19% e Alibaba con il 9%. Ecco perché Morgan Stanley ritiene che “Kuiper” potrebbe rappresentare una “opportunità da 100 miliardi di dollari”.
Torniamo all’Europa e inquadriamo le parole di Breton alla luce di questa guerra commerciale. Bruxelles può tentare, con difficoltà, di imporre regole o persino sanzioni alle multinazionali GAFA+M (Google-Apple-Facebook-Amazon più Microsoft) ma al di là di ciò non dispone di infrastrutture alternative. Quindi per sopravvivere deve provare a crearle. Ecco il progetto Gaia-X per sviluppare un cloud europeo alternativo a quelli americani e cinesi, ed ecco l’annuncio di Breton per realizzare, con tutta probabilità con fondi pubblici, una nuova costellazione spaziale. Cosa che peraltro sarebbe una manna per l’intero settore manifatturiero dei satelliti e, soprattutto, dei lanciatori, per mantenere competenze e posti di lavoro.

“Tout-se-tient” si direbbe a Parigi. Ma il business? Il punto è che in Europa mancano colossi privati, come quelli statunitensi, che sviluppano la propria infrastruttura per i loro fini commerciali; è dunque la mano pubblica che prova a crearla nella speranza di far crescere un ecosistema che ne tragga poi profitto. Anche nello Spazio quindi si continua a manifestare un forte tratto di protezionismo. Non si tratta di una critica ma di una constatazione.

Nel bel libro di Alessandro Aresu Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina (La Nave di Teseo 2020) è analizzata la categoria di “capitalismo politico” rappresentata oggi in maniera emblematica da Stati Uniti e Cina. Aresu analizza la compenetrazione tra economia e politica a più livelli: in Cina si manifesta come simbiosi tra Stato e partito, mentre negli Usa come costante presenza di apparati pubblici per la sicurezza nazionale a utilizzo per fini politici della tecnologia delle grandi imprese private che si muovono su scala globale. L’Europa si colloca in un’area mediana di capitalismo mercantilistico (a influenza germanica) in antagonismo con quello liberista (a influenza anglosassone) come ben descritto nel 1993 da Michel Albert nel suo libro Capitalismo contro Capitalismo.

Intendiamoci, non si sta qui esprimendo un giudizio di merito privilegiando un sistema rispetto a un altro. Ed è probabile che nella logica franco-tedesca del Trattato di Aquisgrana sia contemplato questo tipo di sostegno pubblico in settori strategici, pena l’irrilevanza geopolitica. La questione da porsi, per il nostro paese, è la collocazione in rapporto alla contribuzione per non restare esclusi da aree tecnologiche di frontiera quali l’elettrificazione della mobilità aerospaziale, la robotica o le comunicazioni quantistiche, giusto per citarne solo alcune.

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