Skip to main content

Tempest e sesta generazione. I rischi del ritardo italiano spiegati da Nones (Iai)

Il programma per un velivolo da superiorità aerea di sesta generazione è stato lanciato dal Regno Unito nel luglio 2018 con il nome Tempest e con uno stanziamento iniziale di 2 miliardi di sterline fino al 2025 (circa 2,2 miliardi di euro). Potrebbe sembrare una decisione prematura, prevedendo più di quindici anni per arrivare al primo volo, ma le lezioni apprese negli ultimi cinquanta anni confermano, invece, che le decisioni vanno prese molto in anticipo. L’Eurofighter Typhoon, il velivolo destinato a essere sostituito, è oggi nel pieno della sua vita operativa e si stanno sviluppando nuove versioni più avanzate. Il suo sviluppo era cominciato nel 1983 e il suo primo volo è avvenuto nel 1994, ma è diventato operativo nel 2003, vent’anni dopo. Precedentemente, per il Tornado lo sviluppo è iniziato nel 1969 con il primo volo nel 1974 e l’entrata in servizio nel 1979, dieci anni dopo. Più recentemente lo sviluppo del velivolo F-35 è iniziato nel 1996 e il primo volo è stato nel 2006, ma solo nel 2016 è diventato operativo, vent’anni dopo.

TEMPI DI NUOVA GENERAZIONE

Il tempo medio per sviluppare una nuova generazione di velivoli è, quindi, intorno a un ventennio. E più il progetto è tecnologicamente avanzato e più lungo è il tempo necessario. Oggi vi sono due difficoltà ulteriori rispetto al passato che tendono ad allungare i tempi di sviluppo. Primo, la velocità dell’innovazione tecnologica è talmente elevata che bisogna prevedere un’impostazione “aperta” e mantenere un approccio flessibile per poter sfruttare al massimo possibile i risultati dell’impetuosa crescita tecnologica che stiamo vivendo. Secondo, i mutamenti dello scenario strategico sono molto più difficili da prevedere vista la maggiore complessità e variabilità dei fattori in gioco e anche in questo caso è necessario mantenere un approccio molto più flessibile che nel passato (con le inevitabili conseguenze negative sul processo di pianificazione di ogni nuovo programma militare).

I PASSI RECENTI

Tutte le esperienze maturate dimostrano che solo guardando molto avanti si può arrivare preparati al momento in cui i mezzi in servizio devono cominciare a essere sostituiti perché non più in grado di garantire prestazioni adeguate all’esigenza primaria di garantire la sicurezza e la difesa del paese e perché il costo del loro mantenimento diventa anti-economico. Si deve, quindi, partire per tempo per arrivare puntuali. Non a caso già nel settembre 2019 l’Italia ha sottoscritto una lettera di intenti con il ministero della Difesa britannico per avviare la collaborazione nel nuovo programma. Nel frattempo la Svezia, a luglio, aveva però già sottoscritto un accordo bilaterale per partecipare al programma con un suo primo iniziale stanziamento. A settembre di quest’anno le industrie dei tre Paesi hanno raggiunto un accordo per coordinare la loro attività per quanto attiene il velivolo, i sistemi di bordo, la propulsione e l’armamento. Ma, per ora, da parte italiana non si è ancora arrivati a definire quale finanziamento assegnare al nuovo programma, né, tanto meno, a cominciare a erogarlo. E questo è evidentemente indispensabile per concordare con i partner il livello e il contenuto del nostro coinvolgimento tecnologico e industriale.

UNA SCELTA URGENTE

I programmi che puntano, come in questo caso, al salto generazionale si giocano in gran parte nella definizione delle caratteristiche qualitative, quantitative, finanziarie, temporali e della ripartizione dei compiti. Essere presenti fin dall’inizio nel sostenere il costo del programma pone le basi non solo per influenzarne l’impostazione e l’evoluzione, ma anche per assicurarsi un adeguato ruolo tecnologico e industriale. Arrivare più tardi significa dover accettare il lavoro già svolto dagli altri e rischiare di non poter valorizzare le proprie capacità. Nel caso del programma Tempest una delle maggiori sfide è legata alla sua digitalizzazione e integrazione digitale con gli altri sistemi della difesa, analogamente al velivolo F-35, ma, in questo caso, puntando a garantire la sovranità tecnologica europea (e, per ironia della sorte, questo avverrà soprattutto sulla spinta di un Paese che sta uscendo dall’Unione, ma che è e resterà europeo).

I RITORNI ATTESTI

Questo nuovo approccio “sistemico” è legato alla disponibilità di tecnologie elettroniche che richiederanno lunghi sviluppi e verifiche per poter diventare operative. Il fatto che in gran parte non siano state condivise dai nostri partner americani nel programma F-35, richiederà, quindi, un significativo sforzo in termini di innovazione di prodotto e di processo. Anche per questo il suo finanziamento dovrebbe cominciare oggi, non domani. Per fortuna, in questa fase non si tratta di cifre enormi. Il Regno Unito ha previsto uno stanziamento annuo di circa 300 milioni di euro per sette anni. Considerando anche la partecipazione svedese, il finanziamento sarebbe certamente sostenibile per una media potenza come l’Italia. Bisogna però che il nostro governo comprenda che, soprattutto in questo momento di crisi economica, una tempestiva decisione andrebbe a vantaggio di un’importante parte della nostra struttura industriale e contribuirebbe al rilancio dell’innovazione tecnologica complessiva del nostro Paese, coinvolgendo grandi, medie e piccole imprese e molteplici comparti, dall’aeronautica alla propulsione, dall’elettronica ai materiali, dalla cybersicurezza all’intelligenza artificiale. Consentirà, di conseguenza, un forte ritorno di competenze e di sviluppo delle tecnologie abilitanti per l’industria italiana. Per questo la decisione non può essere solo della difesa, ma dell’intero governo.

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it


×

Iscriviti alla newsletter