Potrebbero essere ore decisive per la stabilizzazione del conflitto in Nagorno Karabakh. Parlare di “pace” è più che prematuro, considerando che il dossier non è pacifico da decenni. Eppure, qualcosa sembra muoversi per far cessare le ostilità tra le forze armene e l’Azerbaijan sulla regione contesa, anche se molto sembra dipendere comunque dall’atteggiamento che assumerà la Turchia.
NEGOZIATI A MOSCA
Un primo segnale incoraggiante è arrivato oggi dal primo ministro armeno Nikol Pashinya, che ha dato la disponibilità di Yerevan a riprendere i negoziati sul processo di pace. Disponibilità che mancava solo un paio di giorni fa in occasione della riunione del Gruppo di Minsk convocata dall’Osce a Ginevra, con la presenza del ministro degli Esteri dell’Azerbaijan. A fare la differenza sembrerebbe essere stato l’intervento più determinato della Russia. Il Cremlino ha annunciato oggi l’avvio di colloqui a Mosca tra rappresentanti di Baku e Yerevan, arrivato dopo le conversazioni telefoniche che Vladimir Putin ha avuto con lo stesso Pashinyan e con il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev. La proposta russa è per un cessate-il-fuoco che consenta lo scambio dei prigionieri e la raccolta dei corpi dei soldati caduti.
LO SPRINT RUSSO…
A sbloccare la situazione probabilmente proprio Putin, non tanto con l’impegno negoziale, quanto con la minaccia di intervento militare. Mercoledì scorso, dopo numerosi appelli caduti nel vuoto, il presidente ha cambiato tono, spiegando che, se le ostilità non si fossero fermate “a breve”, la Russia sarebbe stata disposta “ad adempire agli obblighi” di difesa nei confronti dell’Armenia sanciti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettivo (Csto). Giovedì, il portavoce del Cremlino ha ridimensionato la velata minaccia a Baku, spiegando che l’obbligo di difesa riguarda l’Armenia, e non l’auto-proclamata Repubblica del Nagorno Karabakh. È proprio per questo che Yerevan ha denunciato a più riprese l’Azerbaijan di aver esteso l’offensiva oltre il confine armeno, con l’accusa di abbattimento del Su-25 entro lo spazio aereo nazionale. Ed è per questo che l’Azerbaijan l’ha sempre negato. D’altra parte, la Russia ha sempre mantenuto un atteggiamento ambivalente, con relazioni con Baku che negli anni sono accresciute con tanto di ingenti forniture militari.
…E LA SPONDA FRANCESE
Ora il messaggio di Putin sembra essere arrivato a destinazione, mostrando l’intenzione di Mosca (nonostante tutto) di non perdere il controllo su una regione (il Caucaso meridionale) considerata di propria competenza. Lo sprint russo trova tra l’altro la sponda francese. L’Eliseo si è detto fiducioso di una ripresa dei negoziati, sottolineando il coordinamento degli sforzi con il Cremlino, un modo per riconoscere alla Russia il ruolo di guida nella soluzione della crisi. L’incognita resta l’atteggiamento turco. Per ora Ankara mantiene la linea del supporto incondizionato all’Azerbaijan, con tanto di forniture militari e il riportato invio di combattenti jihadisti.
L’INCOGNITA TURCA
D’altra parte, a rendere quella attuale la peggiore escalation dal 1994 (anno del “congelamento” del conflitto) è stata proprio l’assertività della Turchia. Tale determinazione ha sospinto l’ambizione di Baku a ottenere il massimo possibile, cioè la ripresa del controllo sul Nagorno Karabakh e su tutti i territori occupati dalle forze armene. La pressione internazionale sull’offensiva azera ha iniziato però negli ultimi due giorni a farsi pesante, complici le immagini dei bombardamenti sulle città del Nagorno Karabakh (l’Azerbaijan accusa le forze armene di fare lo stesso) e le prove dell’utilizzo di armamenti più avanzati rispetto agli scontri sulla linea di confine. Oggi l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Michelle Bachelet ha definito “molto preoccupante notare che negli ultimi giorni aree popolate sono state prese di mira e bombardate con armi pesanti nella zona di conflitto e nei suoi dintorni”.