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Nucleare, cosa c’è dietro al gioco diplomatico tra Usa e Russia

“La Russia e gli Usa non si sono messi d’accordo su un congelamento dei loro arsenali nucleari”, ha twittato la rappresentanza russa a Vienna, città di spie e diplomazia dove sono in corso i negoziati per il rinnovo del trattato New Start, quello che regola la gestione delle armi strategiche tra le due potenze. Tre giorni fa, il capo negoziatore americano, Marshall Billingslea, aveva dichiarato che era stata raggiunta “un’intesa di principio al più alto livello dei nostri governi”. È noto che oltre a quelli in Austria, ci siano stati due tipi di contatti: il primo è stato un incontro tra top brass della sicurezza nazionale, avvenuto a Ginevra il 2 ottobre; l’altro è un’interlocuzione diretta tra presidenti. E dunque, chi non la racconta giusta tra Mosca e Washington? Probabilmente entrambi, oppure entrambi la raccontano vera a metà.

La delegazione russa guidata dal viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov parla dell’assenza di un framework definitivo, ed è probabilmente vero — tant’è che anche il portavoce del Cremlino ha rilanciato (non c’è nessuna intesa) senza ricevere smentite da Washington. Differentemente gli americani considerano l’apertura alla propria proposta — rinnovo per uno o due anni dello status quo attraverso un’intesa politica che ampi soltanto il campo dei controlli a tutte le testate — come un semaforo verde dopo mesi di attendismo di Mosca. Per gli Stati Uniti d’altronde non si può parlare di trattato se non si include nel sistema anche la Cina: le cose sono cambiate da quando dieci anni fa fu firmato il New Start, perché la Cina è diventata una realtà poderosa che ha sviluppato capacità e quantità e ora dimostra la volontà di comportarsi da potenza (atomica). Una condizione che impone un contenimento: se per gli Usa è un’urgenza improcrastinabile, Mosca bluffa con aperture e cooperazione e guarda anch’essa preoccupata il Dragone (che può fagocitarla).

E dunque, il gioco delle parti accordo/non-accordo serve a pressare l’altro, anche nei tempi. Se per l’amministrazione Trump sarebbe un successo ulteriore — se chiuso in queste ultime tre settimane, rush finale verso Usa2020 — anche per Mosca il momento non è dei peggiori. Dialogare con la presidenza Trump significa giocare su un campo più favorevole. L’attuale Casa Bianca ha dimostrato molta attenzione alle relazioni con Vladimir Putin, mentre un’eventuale vittoria dei Democratici potrebbe portare gli Stati Uniti ad allinearsi su una linea più classica e generalmente più rigida nei confronti di Mosca. I russi, pur consci della situazione, sembra abbiano capito però che la fretta Usa è anche questione elettorale, e stressano le clausole. Il ministro degli Esteri ha parlato di momento “senza prospettive”, ma è noto per dire l’opposto di ciò che pensa: e infatti ha subito precisato la volontà di tenere in piedi i negoziati viennesi. Il negoziatore Ryabkov ha spiegato meglio che se gli Usa “accettassero la nostra proposta di estensione, potremmo chiudere l’accordo anche domani”. Il problema ruota attorno alle armi tattiche, quelle a gittata più breve: gli americani vorrebbero includerne il controllo nel New Start rinnovato, dopo essersi tirati fuori un anno fa da un trattato specifico (l’Inf, accusato di svantaggiare gli Usa anche nei confronti della Cina). Per i russi è “inaccettabile”. Mosca vuol far pagare il peso del ritiro che ha imbarazzato il Cremlino, accusato di barare e di non aver mai smesso la produzione di quegli ordigni, ma la Russia vuole anche far valere il proprio vantaggio su quello specifico settore — perché ha barato, e ha aumentato il numero di missili a medio/corto raggio.

 

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