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Africa, perché Pechino si terrà fuori dalle crisi. Il commento di Ghiselli

Secondo Ghiselli (Fudan Un., TOChina Hub), la Cina non si esporrà particolarmente in Africa, nonostante la crisi etiope sia un dossier che tocca direttamente gli interessi di Pechino

La presenza in Africa e la complessità di alcune crisi interne al continente – vedere quanto sta accadendo in Etiopia – porta la Cina a misurare la propria dimensione di potenza? Ossia, Pechino si trova nella situazione di esercitare la propria capacità politica e diplomatica, basata sulla forza economico-commerciale, per spingere vettori di stabilizzazione?

Sarebbe una necessità che si sposa con i propri interessi tanto quanto con la narrazione dell’armonia win-win su cui basa la propria struttura di influenza/penetrazione all’interno di contesti e Paesi. Sarebbe però anche una modifica, o una deviazione, dalla linea con cui il Partito/Stato ha sempre o quasi tenuto la Cina lontana da situazioni di rischio, protetta su una posizione laterale, differente da quella di Stati Uniti e Unione europea che sono state spesso coinvolte in meccanismi di intervento politico-diplomatici e pure militari.

La crisi etiope può essere un test che arriva nei giorni in cui un sondaggio di cui si è parlato, prodotto da Afrobarometer, indica la presenza cinese in calo di percezioni positive da parte degli africani. La guerra tra governo di Addis Abeba e ribelli Tigray è un bubbone regionale che si espande da uno dei paesi simbolo degli investimenti cinesi in Africa, e rischia l’allargamento all’interno di un nodo strategico delle Nuova Vie della Seta – il Corno d’Africa, da cui le rotte dell’Indiano risalgono verso Suez e l’Europa – e in altri ambiti delicati come l’Egitto, sovrapponendosi a questioni delicate e pre-esistenti come quella della crisi Gerd.

Sarà sufficiente tutto questo a portare la Cina in prima fila per mediare, anche attraverso posizioni pubbliche, una tregua? Sarà sufficiente per portare Pechino a muovere il proprio peso? “È una domanda difficile – risponde a Formiche.net Andrea Ghiselli, assistant professor alla Fudan University di Shanghai e responsabile alla ricerca del ChinaMed Project del TOChina Hub – perché ci sono vari elementi da considerare. Sul lato di cosa vuole la Cina, è ovvio che non voglia vedere instabilità nella regione, ancor meno se è coinvolto un Paese in cui ha investito molto nel corso degli anni e che ha un ruolo di primo piano nell’area come l’Etiopia”.

Sembra esserci un però dietro a questo che sembra l’interesse più logico, è così? “Il dibattito interno alla Cina sul come essa debba porsi nei confronti di crisi regionali fuori dall’Asia va avanti da tanto, ma non mi pare che ci sia stata una svolta particolare. Se guardiamo a casi passati, tipo la mediazione in Sudan che ha portato a Unamid, al supporto alle negoziazioni sul nucleare iraniano e, infine, ai veti al Consiglio di Sicurezza fra 2011 e 2012 sulla Siria, è chiaro che la Cina può giocare un ruolo importante. Ma lo fa in condizioni molto particolari”.

Quando? “Quando non farlo rischia di creare minacce molto forti ai suoi interessi materiali o politici. Non mi pare che questi interventi diplomatici siano dovuti ad una particolare convinzione che la Cina debba per forza intervenire, che debba dire la sua, anche se, ripeto, all’interno del dibattito cinese c’è una posizione su questo che sta maturando”.

Secondo Ghiselli, la questione è anche collegata al confronto con gli Stati Uniti, che al momento “consuma molte energie diplomatiche alla Cina”, e dunque distrae forze da investire su altri dossier. Contemporaneamente, il governo cinese sta usando anche l’esperienza americana per sviluppare un modo per portare avanti una diplomazia attiva senza rimanere intrappolati in spinose questioni regionali. Su questo, spiega il professore italiano, “leitmotiv fra gli esperti cinesi dice che la Cina non deve creare situazioni in cui un paese terzo si senta forzato a decidere di stare o con o contro di essa in quanto questo potrebbe comunque rappresentare una perdita: se scelgo contro si perdono affari, se sceglie con si rischia di peggiorare le relazioni con altri paesi”.

Recentemente, secondo fonti stampa egiziane citate da alcuni media focalizzati sulle questioni regionali, hanno raccontato che la Cina, con la Russia, avrebbe fatto pressioni sul Cairo per chiedere una de-escalation sulla questione della diga sul Nilo, la Gerd, che vede contrapposti Egitto (e Sudan) contro l’Etiopia. È un primo passo? “Anche in questo caso, in generale non credo la Cina voglia essere coinvolta se non per ripetere che Egitto, Sudan ed Etiopia devono trovare loro la soluzione”.

Ghiselli spiega che non è sorprendente che l’Egitto abbia provato a contattare Mosca e Pechino, altrettanto non è sorprendente la risposta russo-cinese non lo è: “Sicuro la Cina non vuole vedere i Etiopia ed Egitto fare la guerra, ma dubito fortemente voglia fare da mediatore, ancor meno schierarsi. Inoltre, la mia impressione è che i cinesi non siano più troppo convinti che l’Egitto sia la stessa forza regionale che era in passato (tra l’altro mi pare che questo sia un po’ il consenso anche fuori dalla Cina)”.



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