Lindsay Gorman (German Marshall Fund) commenta l’accordo Ue sull’export di prodotti per la cybersorveglianza verso gli Stati autoritari: “Un passo nella giusta direzione. Con Biden sforzi transatlantici contro i tecnoregimi”. E sui fornitori 5G cinesi dice: “Improbabile un passo indietro”
Questa settimana l’Unione europea ha raggiunto, dopo molti anni di discussione, un accordo politico per la riforma del Regolamento europeo sull’esportazione dei prodotti dual-use, impiegati cioè sia in ambito civile sia in quello militare. Tra questi rientrano anche i software di intrusione, la cosiddetta cybersorveglianza. Si tratta di “un passo avanti per l’aggiornamento di un settore tanto delicato per i diritti e le libertà dei cittadini quanto in fortissima espansione sotto l’aspetto economico”, aveva spiegato Stefano Mele, partner dello studio legale Carnelutti, a Formiche.net.
Diritti e tecnologie emergenti potranno essere rappresentare un punto di partenza per il rilancio dei rapporti transatlantici? Ne abbiamo parlato con Lindsay Gorman, Emerging Technologies Fellow presso l’Alliance for Securing Democracy al German Marshall Fund. “La decisione dell’Unione europea rappresenta un importante passo nella giusta direzione per impedire che la tecnologia occidentale possa aiutare la sorveglianza autoritaria e la repressione, sebbene molti dei dettagli dovranno essere elaborati tra gli Stati membri”, spiega Gorman.
Markéta Gregorová, membro del Parlamento europeo eletta nelle fila del Partito pirata ceco, aveva dichiarato che l’Unione europea ha “stabilito un importante precedente affinché altre democrazie seguano l’esempio”. Che siano gli Stati Uniti i prossimi? Secondo Gorman, il presidente eletto Joe Biden “ha dimostrato un certo interesse a collaborare con le democrazie per contrastare l’autoritarismo e rafforzarsi nel campo delle tecnologie emergenti del futuro”. È una questione tecnologica, certo, ma anche basata sui valori occidentali: “Quando le aziende tecnologiche nelle democrazie danno forza a uno stato di sorveglianza autoritario o facilitano la repressione, consapevolmente o meno, indeboliscono il potere delle democrazie”, continua l’esperta. Che aggiunge: “C’è un forte interesse su entrambe le sponde dell’Atlantico per una più profonda cooperazione sulla politica tecnologica”: si tratta di una “opportunità per una risposta collettiva al tecno-autoritarismo”.
La Cina rimane la principale preoccupazione a Washington: è diventata ormai una questione che supera i confini dei partiti, è bipartisan e “la prossima amministrazione rifletterà” questo sviluppo, spiega Gorman. Qualcosa, però, cambierà nel modo in cui gli Stati Uniti si confronteranno con la Cina. “In generale, la posizione del presidente Trump nei confronti della Cina è stata conflittuale senza essere necessariamente competitiva”, continua l’esperta. Biden, invece, “si concentrerà sull’aumento della competitività della democrazia americana e tenderà la mano ad alcuni degli alleati e partner storici degli Stati Uniti nella lotta contro la tirannia”, aggiunge Gorman. “Una politica estera più fondata sui nostri valori condivisi può servire come base comune per l’impegno multilaterale. La comprensione bipartisan a Washington dello spazio delle minacce si è evoluta e la prossima amministrazione probabilmente lo rifletterà”.
Le chiediamo un’ultima cosa, legata anche all’Italia: come gestirà Biden il 5G e nello specifico i “fornitori ad alto rischio” cinesi (cioè Huawei e Zte)? “Dato il consenso negli Stati Uniti e il crescente consenso tra le democrazie sulla minaccia che i fornitori ad alto rischio rappresentano nell’infrastruttura critica 5G, è improbabile che vedremo un significativo passo indietro su questo tema”, risponde Gorman.