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Recovery Fund, riusciremo a usarlo? Le incognite secondo Balducci

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In attesa dei fondi occorre passare da un meccanismo di gestione e di controllo esclusivamente gerarchico ad un meccanismo basato sulle regole e sui processi. Regole che non dicano chi ha potere di decidere cosa ma che dicano cosa si deve fare, come e quando. Si tratta di cambiare le categorie mentali profonde. L’analisi di Massimo Balducci, docente alla Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri dell’Università di Firenze

Non è più cosi certo che le misure del Next Generation Europa vadano realmente in porto. L’opposizione di Polonia e Ungheria alle condizionalità relative al rispetto dei principi della rule of law sembrano difficili da superare anche se i mezzi di pressione a disposizione dei promotori dell’iniziativa (in primis Germania e, poi, Francia) non dovrebbero mancare. Rammentiamo qui il fatto che il debito pubblico di questi paesi è in gran parte in mano a investitori istituzionali tedeschi.

La ritrosia di Polonia e Ungheria allungherà probabilmente i tempi. La cosa potrebbe non essere così negativa per l’Italia. Se da una parte è vero che abbiamo un bisogno urgente di queste risorse, da un’altra parte è anche vero che abbiamo bisogno di mettere a punto i meccanismi di spesa di queste risorse. Se si resta agli attuali meccanismi di spesa dobbiamo essere consapevoli che attualmente non siamo in gradi di spendere più del 30% dei fondi strutturali che ci spetterebbero (la Polonia li spende quasi tutti). Del resto la storia non riguarda solo in fondi europei: è noto che non riusciamo a spendere nemmeno i fondi stanziati dal nostro Parlamento.

Si tratta di mettere veramente mano al problema e di cercare di cambiare registro. I tentativi sin qui fatti non hanno affrontato il problema alla radice e si sono risolti, per lo più, in un aggravamento dei problemi. Fior di dirigenti della sanità toscana considerano il così detto decreto semplificazione un vero è proprio decreto complicazione. Cosa significa cambiare registro? In soldoni significa passare da un meccanismo di gestione e di controllo esclusivamente gerarchico ad un meccanismo basato sulle regole e sui processi. Regole che non dicano “chi ha potere di decidere cosa” ma che dicano”cosa si deve fare, come e quando”. Si tratta di cambiare le categorie mentali profonde.

Un esempio. Nel caso del sequestro del peschereccio italiano davanti alle coste libiche, l’unità della marina militare italiana ha ritardato ad intervenire perché ha conferito con gli alti comandi, lasciando passare del tempo prezioso che ha permesso ai libici di creare una situazione di fatto non più contrastabile. Sospetto che, se la nostra unità navale si fosse trovata ad operare in ambiente Nato, con le regole della Nato, non avrebbe avuto bisogno di conferire con la gerarchia, perdendo tempo prezioso, ma avrebbe fatto riferimento alle “regole di ingaggio” e sarebbe stata in grado di decidere il corso d’azione da intraprendere in maniera immediata. In maniera immediata non significa in maniera discrezionale.

Il problema è tutto qui, nell’illusione che i problemi organizzativi possano essere risolti “trovando l’uomo giusto” cui affidare il ruolo di salvatore della Patria. È a questa filosofia di fondo che si deve attribuire il cumulo di incarichi affidati ad Arcuri, cui fanno capo i dossiers di SviluppoItalia (tra i quali la grana dell’Ilva) e quello della crisi dovuta al Covid 19 (dall’acquisto dei banchi con le rotelle, all’organizzazione della logistica per la somministrazione del vaccino).

È a questo schema mentale profondo che si deve il ricorso ai commissari ad acta, figura sconosciuta al di sopra delle Alpi. È sempre a questo modo di ragionare che si deve l’invenzione (che risale al ministro Dini del primo governo Berlusconi) dalla formula accattivante della “cabina di regia”. È sempre a questo modello culturale che vanno ricondotte le proposte, più o meno sussurrate, di sottrarre la sanità alla competenza regionale e ricondurla alla gestione accentrata a Roma.

Il meccanismo gerarchico è un meccanismo che va bene quando si devono gestire pochi problemi e, soprattutto, problemi semplici. Quando i problemi da gestire sono molti, il meccanismo gerarchico si traduce in un collo di bottiglia che blocca ogni decisione. L’immagine della scrivania de direttore generale sommersa da una valanga di atti da leggere e da firmare è quella che dobbiamo tenere a mente. Quando i problemi sono complessi il meccanismo gerarchico porta a qualcosa di peggiore della paralisi decisionale, porta alla decisione sbagliata. Spesso ci si illude che la principale caratteristica che deve avere il commissario-mago debba essere la garanzia morale del rispetto della legalità. Magari bastasse. Qui ci dimostriamo portatori di una filosofia che era adeguata quando compito fondamentale dello Stato era la garanzia della legalità. Oggi lo Stato deve garantire, oltre al rispetto della legalità, la fornitura di servizi. Questo sviluppo richiede molteplici competenze

In questo lasso di tempo che la “rivolta” polacco-ungherese ci mette a disposizione dobbiamo mettere mano a questo problema. Questo comporta una serie di cose concrete da fare. Mi permetto di declinarle una ad una. Innanzi tutto va messa mano alla normativa e vanno rimossi quegli ostacoli giuridici che impediscono una organizzazione per processi e non per meccanismo esclusivamente gerarchico. Si tratta di superare la distinzione tra responsabile del procedimento e responsabile del provvedimento prevista dall’art. 5 della legge 241 del 1990. Si tratta anche di rivedere l’art 17 del Dlgs 165 del 2000 (testo unico del pubblico impiego) là dove si prevede che l’atto a valenza esterna debba essere firmato da un dirigente. Qui ci si può rifare alla normativa a suo tempo messa a punto per l’Inps e per l’Inail negli anni 80, dove i funzionari hanno il potere di firma, cioè possono firmare gli atti a valenza esterna.

Il codice degli appalti va sospeso e vanno richiamate semplicemente le normative EU in materia di “mercati pubblici” dichiarandole immediatamente applicabili, come si è fatto sin qui nel Regno Unito. Va parallelamente imposta la certificazione ISO 37001 anticorruzione.
Sopra tutto va imparato dall’esperienza dei fondi strutturali e dall’esperienza del piano Marshall.

Nel caso dei fondi strutturali vanno individuati i casi in cui siamo stati in grado di spendere le risorse assegnate. Si tratta di quei casi in cui il beneficiario ha potuto interfacciarsi direttamente con la Commissione a Bruxelles, bypassando le istanze governative e regionali.
Qui vale la pena richiamare l’esperienza positiva del piano Marshall. Il piano Marshall non faceva passare le risorse che metteva a disposizione del sistema economico dalle autorità italiane ma finanziava direttamente l’organizzazione che realizzava l’opera. La Cassa per il mezzogiorno, un prodotto collaterale del piano Marshall, ha operato in maniera esemplare sin tanto che faceva capo direttamente alla Banca Mondiale. Quando l’aggancio con la Banca Mondiale è venuto meno, la Cassa per il Mezzogiorno e diventata un carrozzone che si trascina ancor oggi sotto le spoglie di SviluppoItalia.

I programmi di sviluppo siano pure proposti dal governo italiano e negoziati con Bruxelles. Sarebbe però altamente auspicabile che le somme venissero poi erogate da Bruxelles non alle autorità nazionali o regionali e alle loro disneiane “cabine di regia” ma alle organizzazioni pubbliche e private che dovranno realizzare gli interventi concreti, sotto il controllo della Corte dei Conti Ue. Se è vero, come è vero, che la crisi è eccezionale dobbiamo trovare la forza di fare una salto di qualità eccezionale. Imparare a gestire bene i fondi del Next Generation EU dovrebbe diventare il banco di prova della modernizzazione della nostra amministrazione.


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