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Joe Biden cambierà la Difesa Usa? Le risposte di Bob Work (e del Cnas)

Come sarà il Pentagono di Joe Biden? E quanto cambierà l’approccio degli Stati Uniti alla Nato? Ha risposto Bob Work, già numero due del Pentagono con Obama, protagonista dell’evento organizzato dal Cnas, il think tank fondato da Michele Flournoy, principale candidata a guidare il dipartimento nella nuova amministrazione Usa

Focalizzato sulla sfida con la Cina, impegnato nello sviluppo di tecnologie disruptive (intelligenza artificiale su tutte) e con un budget “piatto” per i prossimi anni. Sarà così il Pentagono di Joe Biden secondo Robert. O. Work, grande esperto di difesa a stelle e strisce e figura di spicco del Cnas, il think tank fondato nel 2009 da Michèle Flournoy, al momento la principale candidata al ruolo di vertice nella nuova amministrazione. Work è stato il protagonista di un evento organizzato dallo stesso Cnas e moderato dall’attuale ceo Richard Fontaine, a cui hanno preso parte altri tre ricercatori del centro: Eric Sayers, Becca Wasser e Diem Salmon. Considerando il momento (delicato) e i vari incroci con il presidente-eletto, dal dibattito è emersa una sorta di roadmap per i prossimi quattro anni del Pentagono.

LE PRIORITÀ

Nessun dubbio sulla “very top priority”: la Cina. L’ascesa del Dragone e la competizione a 360 gradi sarà ancora in cima all’agenda Pentagono. Segue la Russia, secondo Bob Work, a conferma dell’ormai assodato “ritorno alla competizione tra grandi potenze”. La differenza sta nei tempi. Nel lungo periodo la sfida è Pechino, “competitor strategico molto stressante”. Nel breve periodo spaventa più Mosca, che ha dimostrato capacità di “operazioni profonde all’interno degli stessi Stati Uniti”, ha ricordato. Anche l’Iran preoccupa, considerando che “se continua lo sviluppo nucleare può destabilizzare l’intero Medio Oriente”. Seguono infine la Corea del Nord e il terrorismo internazionale, “che non è certo scomparso”.

UNA TRANSIZIONE COMPLICATA

La lista è insomma lunga, e rischia ora di essere “complicata” dall’amministrazione uscente. Unanime nel corso dell’evento è stata la critica all’accelerazione di Donald Trump sui ritiri da Afghanistan e Iraq (qui i dettagli), così come per le indiscrezioni su un piano per bombardare i siti nucleari iraniani, cosa che “renderebbe impossibile per la nuova amministrazione tornare a negoziare con Teheran”, ha detto Work. L’ex sottosegretario del Pentagono (negli ultimi due anni di Obama e nei primi sei mesi di Trump) si è detto comunque “ottimista” sulla buona riuscita della transizione che, “seppur ritardata”, potrebbe accelerare nelle prossime settimane.

LA SITUAZIONE AL PENTAGONO

Non agevolano in tal senso i numerosi cambi al Pentagono. Cinque giorni dopo il voto del 3 novembre, Trump ha licenziato il segretario alla Difesa Mark Esper (che pare avesse già pronta una lettera di dimissioni). Al suo posto ha assunto l’incarico pro tempore Christopher C. Miller, già stretto collaboratore del presidente come senior director del National security council. In meno di 24 ore sono arrivate anche le dimissioni di James Anderson (sottosegretario per le politiche, numero tre del Pentagono), Joseph Kernan (sottosegretario per l’intelligence) e Jen Stewart (capo dello staff del segretario). Regge il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Mark Milley, che però non ha nascosto insoddisfazione per alcune mosse della presidenza, prima tra tutte il ritiro accelerato da Afghanistan e Iraq.

NUOVO APPROCCIO AGLI ALLEATI

Per Eric Sayers, tali ritiri rischiano di distogliere il team di transizione di Biden dalle vere priorità dell’agenda, per l’appunto il ritorno alla “great power competition” e, soprattutto, l’Asia-Pacifico. Qui, l’errore attribuito dagli esperti del Cnas alla presidenza uscente è di non aver rafforzato a sufficienza il sistema di alleanza regionali. Il tema si lega alla Nato (per cui Biden ha promesso di ricostruire la fiducia), sconquassata negli ultimi quattro anni dai toni di Trump, sempre pronto a strigliate e punzecchiature sul tema del 2% del Pil da destinare alla Difesa. Gli esperti (anche in Europa) su questo concordano: Biden cambierà i toni, ma non la pressione sugli alleati affinché spendano di più.

NESSUN “MAJOR SHIFT”

In altre parole, tra competizione con la Cina e attenzione alla Russia, non ci sarà nessuno “grande cambiamento” nella strategia di Difesa americana, ha chiosato Bob Work. Certo, ci sarà un focus maggiore su altri temi, come la bio-difesa (compresa nel più ampio acronimo Cbrn, tornato alla ribalta con la pandemia da Covid-19) e il cambiamento climatico, con annesse “potenziali implicazioni sulla sicurezza”.

FOCUS SULLE TECNOLOGIE

C’è poi da aspettarsi un’attenzione crescente sulle tecnologie disruptive (puntuale il nuovo studio del Cnas che propone una Defense Technology Strategy). Work ha citato intelligenza artificiale, cyber-spazio, sistemi a guida autonoma e capacità sottomarine. Wasser ha aggiunto Data analytics, simulazione e modellizzazione per i sistemi di comando e controllo. Probabile, ha notato Sayers, che insieme all’impegno per tenere in vita il trattato New Start (senza rientrare nell’Inf che “non risponde agli interessi americani”), si riduca invece la spinta alla modernizzazione dell’arsenale nucleare, soprattutto alle testate miniaturizzate che hanno visto in Congresso l’opposizione dei democratici. Non verrà meno però l’attenzione alla missilistica; se l’obiettivo è poter competere con la Cina, verrà sostenuto con la dovuta attenzione ai necessari assetti.

IL BUDGET

Sul fronte interno il maggior punto interrogativo riguarda il budget che il Pentagono si vedrà assegnato dopo i “ricchi” anni della presidenza Trump. Rispetto alla sequestration di Obama, il tycoon ha fatto arrivare alla Difesa 700 miliardi nel 2018, 716 nel 2019 e 733 per quest’anno (la richiesta per il 2021 vede un leggero ridimensionamento). Biden ha criticato tale incremento costante, parlando di “abbandono della disciplina fiscale”, ma non ha mai detto di voler ridurre il budget della Difesa.

LA PREVISIONE DI WORK

Bob Work ha confermato le previsioni degli esperti: il budget sarà probabilmente piatto per il 2021 e il 2022; poi “non si sa cosa accadrà, ma potrebbe calare”. Sul tema peserà comunque anche la conformazione del Congresso. Un Senato repubblicano, ha ricordato Diem Salmon, potrebbe combattere per tenere alto il budget. In ogni caso, ha aggiunto l’esperta, “difficile immaginare che un’amministrazione impegnata a mantenere la spesa pubblica riduca le spese per la Difesa”.

GLI ALTRI TEMI

Inoltre, ha rimarcato Salmon, il nuovo vertice del Pentagono potrebbe (e secondo gli esperti del Cnas “dovrebbe”) accelerare la riforma del sistema di procurement, rendendo ancora più veloce le pratiche della Difesa americana. “Considerando la rapidità dell’innovazione tecnologica – ha detto – è assurdo che ci vogliano tre anni in media per passare da un prototipo alla produzione”. Infine, ha concluso Work, c’è da attendersi “un grande attenzione al tema del personale”. La priorità è rivedere il bilanciamento tra personale civile e militare. Segue il tema della mobilità per rendere più agevole il passaggio di militari verso il settore privato una volta terminato il servizio.

Tutto questo attende con ogni probabilità Michèle Flournoy, la principale candidata a guidare il Pentagono.

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