Dall’India a Genova, Google (con Tim e Omantel) lavora alla fibra ottica che passerà da due Paesi rivali, Israele e Arabia Saudita. Aresu: “Nel Mediterraneo la geopolitica dei cavi risponde all’interesse strutturale degli Usa, cioè impedire che emerga una potenza di riferimento”. Ecco tutti i dettagli
Una fibra ottica che correrà dall’India all’Europa passando per due Stati stoicamente rivali, Israele e Arabia Saudita (attraverso la Giordania). È il progetto del quale Google sta gettando le basi, come rivelato dal Wall Street Journal. Il quotidiano statunitense sottolinea come il piano di connettività potrebbe permettere al colosso della Silicon Valley, guidato dall’india Sundar Pichai, di raggiungere due rivali come Microsoft e Amazon nella corsa alla leadership del settore cloud. Della partita dovrebbero essere anche Oman Telecommunications e Telecom Italia, spiega il Wall Street Journal confermando quanto rivelato quest’estate dal giornale israeliano Haaretz.
UN’OPERA DA 400 MILIONI
Il cavo è stato ribattezzato Blue Raman. Lungo più di 5.000 miglia, dovrebbe costare circa 400 milioni di dollari, secondo la società di telecomunicazioni Salience Consulting con sede a Dubai citata. La prima parte del cavo, cioè Blue, dovrebbe essere realizzata da Sparkle, società di Telecom Italia: partenza dal porto di Genova e arrivo in Israele, passando sotto il Mar Mediterraneo. La seconda parte, cioè Raman (così chiamato in onore del premio Nobel indiano Chandrasekhara Venkata Raman), dovrebbe invece essere realizzata da Oman Telecommunications: dal porto di Mumbai, sotto l’Oceano Indiano per arrivare ad Aqaba, città portuale della Giordania (secondo Paese arabo, dopo l’Egitto, a riconoscere Israele, nel 1994), e qui congiungersi con il primo ramo. Non è ancora tutto fatto, però: il Wall Street Journal sottolinea che ancora si attende il via libera dalle autorità governative saudite.
IL CONTESTO GEOPOLITICO
“Il contesto del progetto Blue Raman è una serie di accordi negoziati dagli Stati Uniti che hanno creato nuove relazioni diplomatiche e commerciali tra gli Stati arabi del Golfo e Israele”, scrive il Wall Street Journal ricordando che gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e il Sudan hanno tutti recentemente normalizzato le relazioni con il governo israeliano. E non sembra una coincidenza il fatto che l’articolo del quotidiano murduchiano sia uscito pochi giorni dopo lo storico incontro (non confermato né smentito) tra il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (accompagnato dal capo del Mossad Yossi Cohen, il primo architetto in Israele degli Accordi di Abramo) e il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Non a caso Oman e Arabi Saudita sono tra i candidati a essere i prossimi Paesi arabi del Golfo a riconoscere lo Stato ebraico.
LO SNODO EGIZIANO
Come raccontavamo su Formiche.net dopo le rivelazioni di Haaretz, il cavo è pensato per bypassare l’Egitto, la cui instabilità politica rappresenta un punto debole per le connessioni mondiali visto che un terzo del mondo dipende da questo Paese per l’accesso a Internet. Tuttavia, scrive il Wall Street Journal, Google starebbe anche valutando una connessione separata tra India ed Europa attraverso l’Egitto, che potrebbe anche collegarsi al progetto Blue Raman.
I RISCHI PER BIDEN
Ma qualche rischio c’è. In particolare di natura geopolitica, scrive il Wall Street Journal avvertendo la prossima amministrazione statunitense guidata da Joe Biden (che, va ricordato ha reso l’onore delle armi a Donald Trump per gli Accordi di Abramo). “Israele e Iran hanno costruito un oleodotto su suolo israeliano negli anni Sessanta per spedire petrolio iraniano in Europa piuttosto che utilizzare il Canale di Suez in Egitto. Ma dopo l’ascesa della Repubblica islamica in Iran nel 1979, l’oleodotto rimase in gran parte inattivo mentre Israele e Teheran divennero nemici. La politica recente potrebbe segnare un nuovo inizio per l’oleodotto: il suo operatore israeliano il mese scorso ha dichiarato di aver firmato un accordo preliminare una campagna emiratina per il trasporto del petrolio lungo il percorso”. Il messaggio del Wall Street Journal sembra un invito alla futura amministrazione statunitense a non fare passi indietro in Medioriente.
IL COMMENTO DI ARESU…
“La notizia dello sviluppo di una nuova rete di fibra ottica di Google, già riportata in passato dai media e ora nella nuova forma del coinvolgimento di Israele e Arabia Saudita, è interessante per due principali ragioni”, dice a Formiche.net Alessandro Aresu, analista geopolitico e autore del volume “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina” (La nave di Teseo) in cui analizza, tra le altre cose, la vicenda dei cavi sottomarini dall’Impero britannico a oggi. Il primo aspetto riguarda l’importanza della dimensione fisica della tecnologia come ambito di investimento dei grandi attori dell’economia digitale, spiega: “La tecnologia continua ad avere una cruciale dimensione territoriale, su cui le grandi aziende statunitensi possono investire, per via della loro enorme disponibilità di denaro, oltre che competere tra di loro. Questo processo, in cui Google poi inserisce i suoi omaggi pubblicitari ai cavi (da Grace Hopper a Raman) è destinato a continuare nell’amministrazione Biden. Per esempio, a rivendicare il ruolo geopolitico dei cavi sottomarini degli avversari, a partire dalla Cina, è intervenuto di recente Geoffrey Starks, commissario della Fcc in quota democratica. Nel Mediterraneo la geopolitica dei cavi risponde all’interesse strutturale di Washington: impedire che emerga una potenza di riferimento”.
… PERICOLO CINA?
La seconda questione, che riguarda l’Italia, coinvolge le infrastrutture critiche che ci coinvolgono nel Mediterraneo, e che presidiamo, continua. “Nell’ultimo numero di Limes, il capo di stato maggiore della Marina italiana Giuseppe Cavo Dragone ha rivendicato l’attività del corpo proprio in riferimento ai cavi sottomarini. A questo si aggiungono i rapporti di Google con Telecom Sparkle, del resto già coinvolta di recente nel sistema di cavi sottomarini Curie”. Secondo Aresu non c’è, su questo tema, un “pericolo portuale specifico per l’Italia sulla Cina”. L’analista, infatti, sottolinea che “da tempo” ritiene “che il tema dell’interesse cinese nei porti sia stato sopravvalutato rispetto ad altri ambiti di penetrazione di Pechino, per via dei problemi strutturali di diversi porti italiani e della difficoltà per la Cina di costruire ‘ordinamenti paralleli’ nel nostro Paese. Salvo specifiche indicazioni dell’intelligence, a mio avviso quello che è più importante è affiancare meglio ai punti che sappiamo essere rilevanti per questo sistema di cavi, a partire dalla Sicilia, un adeguato investimento in ricerca, formazione, trasferimento tecnologico. Come in altri ambiti, la strategia migliore per l’Italia sta nel mantenimento e nel rafforzamento della propria capacità industriale, nell’avanzare la consapevolezza geopolitica all’interno del progetti industriali in corso sulle telecomunicazioni. Gli accordi sul Mediterraneo che ci coinvolgono, anche se non dipendono direttamente da noi, arriveranno”, assicura.