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Covid-19, perché fare chiarezza con le autonomie locali

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Non è possibile disporre limitazioni e chiusure senza avere contemporaneamente chiaro quali siano le attività da intraprendere per garantire riaperture e rilancio. Il commento di Stanislao Chimenti, docente di Diritto commerciale e partner dello studio internazionale Delfino Willkie Farr & Gallagher

Con il Dpcm 3 novembre 2020 riemerge l’idea che, a torto o a ragione, le misure di coprifuoco o lockdown parziale, comunque denominate, siano in definitiva le uniche possibili al fine di contenere il contagio e scongiurare il temuto rischio del collasso del sistema sanitario nazionale.

Il dibattito, però, è aperto. La comunità scientifica, infatti, appare tutt’altro che compatta e i dati disponibili appaiono sovente disomogenei, incompleti, lacunosi e, in definitiva, poco affidabili. La cosiddetta seconda ondata era stata ampiamente paventata per l’autunno e da più parti si sono levate critiche in ordine alla (mancata) adozione di adeguate misure di prevenzione quali, ad esempio, il potenziamento delle strutture di terapia intensiva, l’approntamento di un sistema di tracciamento efficace, il potenziamento del sistema dei trasporti (di concerto con le autorità locali), ecc.

Sia come sia, la gestione della situazione attuale si sta piegando sempre di più alle ragioni della logica emergenziale. In questo contesto, dunque, le esigenze del tessuto sociale, economico e imprenditoriale del Paese sembrano essere recessive.

Si potrebbe ritenere che a cedere il passo per il momento siano solamente alcuni determinati settori: turismo, ristorazione, centri sportivi, centri commerciali. Altri comparti, di contro, non sono stati direttamente interessati dalle misure restrittive adottate in via d’urgenza. Tuttavia, l’esperienza vissuta nella scorsa primavera ha ben evidenziato a chiunque, semmai ve ne fosse bisogno, che l’economia non è scomponibile in comparti isolati o isolabili. Di contro, il tessuto del mercato è composto di una pluralità di soggetti tutti strettamente interconnessi fra loro; per queste ragioni è impensabile ritenere che gli effetti delle misure si limitino a ricadere solo sui settori poc’anzi ricordati. Tali effetti saranno solo differiti ma si ripercuoteranno inevitabilmente su tutto il Paese e a tutti i livelli.

Si tratta di una valutazione che non presenta margini di incertezza: la crisi si propagherà ed è solamente incerta la sua entità e la sua durata. Ma se questo è, non è in alcun modo rinviabile un’attività di programmazione seria, approfondita e tempestiva dell’attività futura. Alla luce della recente esperienza, e considerato che il Paese appare già fortemente provato dal pesante lockdown del marzo-maggio 2020, occorreva ed occorre simultaneamente avviare una programmazione analitica di tutte le misure necessarie a garantire e sostenere un’adeguata e armonica ripresa della normale attività economica.

Non è possibile disporre limitazioni e chiusure senza avere contemporaneamente chiaro quali siano le attività da intraprendere per garantire riaperture e rilancio.

La prima pianificazione attiene alla gestione del mercato del lavoro. Al momento il cosiddetto blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione ha soltanto differito il problema. Ma il blocco andrà presto o tardi rimosso, i fondi della cig si esauriranno e così assisteremo senza dubbio a una massiccia fuoriuscita di lavoratori dal mercato. La prima pianificazione, dunque, dovrà attenere alla gestione di una crescita massiccia della disoccupazione. Sarebbe dunque necessario tutelare anzitutto i soggetti che attualmente operano nei settori che soltanto per ultimi potranno tornare a una accettabile “normalità” (quali, ad esempio, il settore del turismo e quello dello spettacolo). Per costoro già da ora sarà necessario approntare piani di riqualificazione di medio e lungo termine, anche con specifico riferimento alla formazione di professionalità in grado di confrontarsi con una situazione oramai irreversibilmente cambiata. Ancora, sarà necessario studiare approfonditamente quale sia l’impatto della situazione sul sistema pensionistico, atteso che verosimilmente molti soggetti potrebbero fuoriuscire dal mercato del lavoro in modo definitivo. Infine, come più volte rilevato, sarà necessario adeguare con tempestività il sistema legislativo della crisi di impresa a una situazione del tutto inedita.

Insomma, l’attività di gestione immediata della crisi sanitaria e quella di gestione della ripresa debbono essere pianificate di pari passo, tanto più che, come detto, almeno per alcuni segmenti gli effetti della crisi saranno in parte differiti nel tempo. Al momento non risultano allo studio iniziative di alcun genere ed è questo il profilo che desta maggiore preoccupazione e sul quale è lecito stimolare l’attività del governo.

Si tratta di un’attività di ampio respiro che ben dovrà essere coordinata con le autonomie locali ma che, per la sua stessa natura, richiede un’attività di impulso di carattere necessariamente nazionale. Diversamente, si correrà il rischio che anche la fase successiva sia gestita in modo affrettato ed emergenziale per non avere efficientemente impiegato il tempo necessario alla pianificazione e alla progettazione dell’immediato futuro.



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