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Covid, perché gli indicatori delle Regioni non funzionano. Parla Toti

Conversazione con il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti: colori delle regioni? “Non è un declassamento, serve per consentire di superare l’emergenza. I dati della Liguria? “In miglioramento”. Le scelte del governo? “Non penso assolutamente che siano dovute a partigianeria”

Ora anche Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia hanno adottato ordinanze che, di fatto, restringono ulteriormente le maglie dei controlli. Ancora, però, formalmente non c’è stata la decisione di passaggio cromatico da zone gialle a zone arancio. Il braccio di ferro tra territori e Stato centrale è sempre più intenso e, in questa intervista, il presidente Giovanni Toti spiega lo stato dell’arte di una regione che non si arrende. Tra le regioni che invece hanno subito, infatti, rispetto al primo pronunciamento, una penalizzazione c’è stata anche la Liguria.

Il tavolo di confronto tra ministero e Regioni, nei giorni scorsi, è approdato ad una decisione che di fatto “declassa” la Liguria a zona Arancione. Questo che cosa comporta per il suo territorio?

Prima di tutto non si tratta di un declassamento. La classificazione delle Regioni da parte del governo in fasce colore che corrispondono al livello di rischio in relazione alla pandemia da Covid-19 serve per consentire al Paese di superare l’emergenza facendo in modo che se in alcune regioni si chiude, altre possano continuare a produrre, in un quadro in continua evoluzione. Oggi la Liguria è nella fascia arancione perché è stata classificata così dal governo sulla base di indicatori inviati tutti i giorni dai nostri professionisti, che lavorano con serietà, abnegazione e coscienza. Non mi strappo le vesti, se è per salvare le vite dei cittadini liguri. Quello che sorprende è che il report in base al quale la Liguria era stata inserita in fascia gialla e il report con cui siamo oggi in fascia arancione dicono le stesse cose. Anzi, i dati valutati dal ministero che monitorano l’andamento del Covid in Liguria continuano a migliorare. Il report numero 26, arrivato due giorni fa dal governo e dall’Istituto Superiore di Sanità e che comprende il periodo dal 2 all’8 novembre, indica i valori che fanno riferimento alla penetrazione del contagio nella nostra regione, i famosi Rt, in discesa. L’Rt medio è infatti di 1,2 e l’Rt sintomi di 1,1.

Ci spieghi meglio.

Quando la Liguria è stata classificata in zona arancione avevamo un Rt pari a 1.47, con picco di 1.52 a Genova. Inoltre, gli indicatori per cui viene valutata la qualità dei dati forniti dalla nostra regione, sono stati classificati tutti e quattro positivamente. Questo a dimostrazione che il lavoro incessante di chi da mesi fornisce tutti i parametri richiesti dal governo, è accurato, preciso e professionale. Questo miglioramento è indubbiamente una notizia incoraggiante e dimostra come tutte le misure messe in campo da Regione, prima dell’ultimo Dpcm e della divisione del Paese in fasce colore, stiano dando i loro frutti. È importante perciò, per far abbassare ulteriormente la curva del contagio, continuare a rispettare le regole che ci siamo dati. Stiamo facendo tutti dei sacrifici, alcune categorie economiche di più e per loro spero che i ristori da Roma arrivino in tempi celeri, ma sono oggi confortato dal fatto che i dati dimostrino che stiamo andando nella direzione giusta.

Qual è la situazione delle terapie intensive e dei ricoveri nelle strutture sanitarie liguri?

I nostri ospedali sono sotto pressione ma il sistema sta reggendo. In particolare, per quanto riguarda le terapie intensive, nei nostri ospedali abbiamo meno della metà dei posti letto occupati durante i giorni del picco della primavera scorsa e questo ci rassicura. A differenza della prima ondata, in queste settimane la pressione più forte è stata sui reparti di media complessità di cura: per fortuna stiamo riuscendo ad alleggerire questa pressione, dimettendo i pazienti che hanno superato la fase acuta e trasferendoli nelle strutture territoriali a bassa e bassissima intensità di cura individuate dalla nostra Protezione Civile, in modo da garantire loro l’assistenza di cui hanno bisogno per finire le cure prima di rientrare al domicilio e, al contempo, assicurare anche un turnover sempre più efficace dei posti letto ospedalieri. In questo senso, abbiamo attivato 270 posti letto in tutta la Liguria. Abbiamo anche attivato due giorni fa una struttura ospedaliera mobile davanti al pronto soccorso dell’ospedale San Martino di Genova che è hub regionale per l’emergenza Covid. Questo compound, allestito grazie alla Croce Rossa italiana e alla Protezione Civile della Liguria, mette a disposizione 24 posti letto attrezzati che non sostituiscono letti di ospedale ma servono per alleggerire la pressione sul pronto soccorso.

Le restrizioni che il colore con il quale è stata classificata la sua Regione che tipo di ricadute avranno in termini economici sulle attività produttive?

Ora che la Liguria è entrata in zona arancione, innanzitutto, mi auguro che i ristori per chi subirà i danni maggiori arrivino celermente e non come quelli previsti per la precedente ondata. Il lockdown, le chiusure per diverse categorie economiche a più riprese, hanno fortemente compromesso l’economia nazionale e, ovviamente, anche della nostra regione. Di sicuro, questo Paese ha bisogno di regole che ci consentano di spendere le risorse che arriveranno in Italia, come per esempio il Recovery Fund. La capacità di investimento e anche la velocità di realizzazione delle opere sono la chiave del successo ma l’ostacolo più temibile, oltre alla burocrazia, resta quello della variabile tempo, una sfida che il nostro Paese non può permettersi di perdere se vuole costruire il futuro.

Qual è a suo giudizio l’atteggiamento del governo nei confronti dei territori? Pensa che in un certo senso questa decisione di Palazzo Chigi penalizzi la sua regione?

No, non penso assolutamente che le scelte siano dovute a partigianeria. Il metodo che prevede la divisione del Paese in aree lo trovo giusto, i criteri devono essere locali, non sono per un lockdown nazionale, sono per le misure che servono nei luoghi in cui servono. Forse sarebbe stato meglio usare un po’ meno indicatori, ma reperibili in modo molto più rapido. Ogni giorno la situazione nei nostri ospedali cambia ma il sistema di valutazione ci fa arrivare un po’ in ritardo rispetto alle decisioni che vorremmo prendere. Come Regioni e, in particolare come Liguria, avevamo proposto come cabina di regia governativa un sistema di dati più veloce e semplificato. Avevo chiesto che ci fosse un’intesa anche in sede politica non solo in sede tecnica su quei dati, così non è stato.

Cosa intende con “decisioni politiche”?

Intendo che le valutazioni sono sempre fatte tenendo conto di tanti fattori: la situazione sanitaria, il territorio, le esigenze economico-sociali… Mettere tutto dentro un calderone che con un algoritmo dovrebbe dare la soluzione perfetta è impossibile. È sempre la politica a decidere.

È ritornato in auge, in queste settimane, il tema della riforma del Titolo V, caldeggiata dai 5 Stelle. Lei pensa che settori chiave come la gestione del comparto sanitario debbano tornare in capo allo Stato?

Siamo tra le regioni che hanno chiesto una maggiore autonomia diversificata. Conoscere il territorio, applicare le norme alla realtà specifica di ogni singola città credo che sia il compito del governo territoriale e penso che questo debba essere valorizzato. Io credo che questo Paese, anche alla luce di quello che sta affrontando con un’emergenza sanitaria senza precedenti, abbia bisogno di un’importante riforma condivisa delle istituzioni. Le Regioni, al di là delle polemiche che ogni tanto ritornano, hanno dimostrato non solo grande senso di responsabilità ma anche di operatività: nella prima fase sono state le Regioni ad attivarsi per procurarsi i DPI, che in quei mesi erano quasi introvabili; qui in Liguria avevamo anche chiuso prima delle decisioni del governo sul lockdown proprio perché avevamo ben chiara la situazione e il polso del contagio nella nostra regione. E sempre le Regioni hanno anche permesso di riaprire il Paese dandosi regole precise per la ripartenza attraverso linee guida condivise per tutte le categorie economico/sociali, dimostrando grande senso di governo del territorio e volontà di assumersi responsabilità. Quell’autonomia la reputo fondamentale soprattutto perché se la sono guadagnata sul campo.

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