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Da Mattei a Draghi. Così Di Maio disegna il dopo Rousseau del M5S

Il ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento Cinque Stelle è fra i pochissimi a cimentarsi nella costruzione di un pensiero politico e culturale per superare la fase Rousseau. Da Biden a Draghi fino a Enrico Mattei, ecco tre indizi che fanno una prova

Nel Movimento Cinque Stelle c’è vita oltre Rousseau. Oltre la democrazia diretta via web, oltre le correnti e correntine interne, qualcosa inizia a muoversi. Se la politica italiana vive una fase di sostanziale stallo costretto dall’emergenza, lo stesso non si può dire del primo partito del governo Conte bis e le ultime uscite pubbliche di Luigi Di Maio stanno lì a dimostrarlo.

Nel giro di una settimana, il ministro degli Esteri ed ex capo del Movimento tornato in grande spolvero agli Stati Generali ha tracciato una road map inedita e soprattutto non casuale. Dapprima su Repubblica, dove ha firmato un lungo intervento sull’elezione di Joe Biden negli Stati Uniti e la svolta green che attende dietro l’angolo i Cinque Stelle. Poi, questo venerdì, un patto trasversale in dieci punti, sulle colonne del Foglio.

Un corposo vademecum per la politica italiana con l’invito a “disarmare” il confronto fra maggioranza e opposizione e una lista di priorità. Transizione ecologica, ancora una volta. Made in Italy, calo demografico, lavoro e welfare, scuola e istruzione, Pa e digitale, Giustizia, Sanità, sicurezza. Debito pubblico. Qui, sul vero pomo della discordia in Ue, Di Maio inserisce un velato ma netto riferimento alla dottrina Mario Draghi, quando dice che “occorre produrre “debito buono”. Lo fa con tutti gli accorgimenti del caso, perché non appaia una scortesia al premier Giuseppe Conte o al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Ma il pizzino non passa inosservato.

Infine un editoriale su Civiltà delle Macchine, la rivista della Fondazione Leonardo, per commemorare la figura di Enrico Mattei. Un’altra cartina geografica, questa volta sulla politica estera. Tra una citazione e l’altra del primo presidente di Eni, Di Maio discorre di energia, sovranità economica, spiega perché c’è bisogno di “una coscienza nazionale che rifugga dall’autocommiserazione”, richiama “la lungimiranza di Mattei” che “ci fornisce una traccia che vale oggi come allora”.

Si dice spesso che due indizi sono una coincidenza e tre fanno una prova. Gli editoriali firmati da Di Maio non fanno eccezione. Lasciando per un attimo da parte lo scontro (fisiologico, e ormai inevitabile) sulla governance interna, l’ex capo politico si inerpica su un sentiero finora inesplorato dal Movimento. Cioè cerca di costruire, un pezzo alla volta, un posizionamento culturale, di politica interna ed estera, che è ad oggi il vero tallone d’Achille dei Cinque Stelle. A dieci anni dall’irruzione nella politica italiana, il Movimento resta infatti ancora, autenticamente, una formazione post-ideologica. E il modello della democrazia diretta online, da solo, inizia a mostrare tutte le sue carenze.

Partire da zero è un limite, ma anche un vantaggio. È presto per capire se e come il lavoro di costruzione di contenuto di Di Maio troverà un approdo sicuro o rimarrà un esperimento. Di certo è fra i pochi che, nel Movimento, prova a guardare un po’ più in là. Delle beghe interne, dei tatticismi. Di Rousseau.

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