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Elezioni Usa, cosa (non) cambia per l’Italia. Parla Bremmer

Il presidente di Eurasia Group: l’Italia non è più un attore geopolitico di primo piano, farebbe bene a tifare per il Deep State Usa. Trump o Biden? Cambiano i metodi, meno la sostanza. Russia e Cina restano in cima alla lista dei rivali, governo Conte avvisato

Nel dubbio, meglio tifare per il Deep State. Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group e politologo della New York University, è convinto che l’Italia abbia poco da temere dalle elezioni presidenziali americane. Che vinca Donald Trump o Joe Biden, il metodo cambia (molto), la sostanza un po’ meno. I rapporti con la Cina, gli occhiolini alla Russia, il fronte tech. Gli “altolà” di Washington DC rimarranno gli stessi. “Anche se Roma non è più uno snodo geopolitico cruciale”.

Bremmer, perché l’Italia conta poco?

Perché non è più una potenza nel Mediterraneo come un tempo. Oggi la Francia è subentrata in quel ruolo. Il caso della Libia lascia pochi dubbi.

Quindi, per chi dovrebbe tifare questa sera?

Difficile dirlo, l’Italia si trova in un limbo. Oggi al governo ci sono esponenti politici che non fanno mistero di disprezzare il presidente americano. Un esecutivo a destra e più marcatamente anti-establishment avrebbe più chances di attirare le simpatie di Trump. Con l’Ungheria di Viktor Orban, paladino dell’euroscetticismo, il feeling non si è mai spezzato.

Un anno fa anche gli euroscettici italiani ammiccavano a Trump.

Lo facevano in tanti. Ora non c’è più un vero e proprio movimento populista ed euroscettico internazionale. Molto si deve alla pandemia del Covid-19. La crisi del debito sovrano nel 2010 ha spezzato in due l’Europa. Nord contro Sud, frugali contro i mediterranei. Questa crisi è orizzontale, costringe a lavorare insieme.

Con Biden l’Italia avrebbe vita facile?

Sicuramente sarebbe un presidente molto meno volatile. Ha un’esperienza pluridecennale, è stato al fianco di Barack Obama, sa cosa vuol dire gioco di squadra o ascoltare i consigli di chi gli è accanto. Se si considera Trump come una parentesi “anormale” della politica americana, una vittoria di Biden sarebbe senz’altro un ritorno alla normalità, e alla stabilità. Una riconferma di Trump, per motivi non solo dipendenti da lui, aprirebbe le porte a una fase di grande incertezza e divisione.

Come si immagina un ritorno alla normalità con Biden?

Per prima cosa, si assicurerebbe che il “Deep State”, a partire dal Dipartimento di Stato e dal National Security Council, ritorni sui binari. Ci sono molte posizioni tuttora vacanti. E un grave danno di immagine da riparare. Tra scandali, liti, ritardi, in molti di questi dipartimenti è venuta meno la professionalità che li ha sempre contraddistinti. Mi rendo conto che non è un punto “sexy” di un programma elettorale, ma da qualche parte bisogna iniziare. Meno creatività e improvvisazione, più capacità gestionale.

Fra Trump e l’Europa restano grandi frizioni. Se dovesse vincere si aprirebbe una fase di appeasement?

Non c’è dubbio che Trump abbia stretto grandi amicizie con molti leader. In Europa un po’ meno. Francia, Germania, Olanda, la lista di Paesi poco trumpiani è lunga. Il problema di fondo è un altro. Non ha alcuna considerazione del multilateralismo, dell’Ue, della Nato. Non ha fatto nulla per rompere davvero il legame transatlantico, ma neanche per rinforzarlo. La luna di miele è durata ben poco.

L’Italia ha da sempre rapporti consolidati con la Russia. Cosa può cambiare nei rapporti fra Mosca e Washington con questa elezione?

Molto meno di quello che immaginereste. Putin di certo preferirebbe una vittoria di Trump. È anche vero che in quattro anni il presidente non è mai riuscito a togliere le sanzioni contro il Cremlino. Biden sarebbe più ostico, perché supporterebbe più apertamente gli sforzi della comunità di intelligence.

E invece con la Cina?

Stesso copione. I rapporti con Pechino rimarranno pessimi a prescindere dal voto, e anzi con ogni probabilità peggioreranno. Cambierebbe il metodo, questo sì. Biden è più disposto a lavorare con gli alleati, e concederebbe al governo cinese spazi di negoziazione, dal cambiamento climatico al coronavirus, specie sul fronte del vaccino e dell’Oms. Ma su tanti altri temi la linea dura accomuna Trump e Biden. Tecnologia, commercio, Hong Kong e Taiwan. Non dimentichiamo che Biden ha più volte definito Xi Jinping un “delinquente”. Questo Trump non lo farebbe.

Chiudiamo sul fronte tech. L’Italia si è sostanzialmente allineata alla linea dura Ue sulla tassazione dei giganti americani. Può diventare un problema?

Una cosa è certa: nessun presidente lascia indietro l’industria tech americana. Può discuterci, anche arrivarci ai ferri corti, ma alla fine la difende. La Silicon Valley di solito ha richieste molto semplici. Più di tutto, vuole meno tasse, e questo porta tanti Ceo a sperare nei repubblicani. Con Trump però il feeling non c’è sempre stato.

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