I posizionamenti nei diversi campi che hanno sostenuto Biden già sembrano volerlo tirare da una parte, o resistere all’altra, più che offrirgli il sostegno a un progetto nuovo. “La difficoltà si percepisce anche in alcuni silenzi sulla prima vice presidente donna”. Conversazione con Massimo Faggioli, docente di Teologia e Storia del cristianesimo alla Villanova University a Philadelphia
Ce la può fare Joe Biden a creare una sintonia tra liberal e cattolici democratici? Citare l’enciclica “Fratelli tutti” e dare priorità alla questione ambientale, scegliere un linguaggio di unità e non di divisione sono stati segnali importanti, al Vaticano ma non solo al Vaticano. Sono stati segnali di un’intenzione. Le condizioni per creare nel tempo e nella cultura americana un nuovo incontro ci sono? Ci potrebbero essere?
Dal suo osservatorio di Philadelphia, dove insegna teologia e storia del cristianesimo alla Villanova University, il professor Massimo Faggioli osserva con attenzione i primi sviluppi politici nel campo democratico dopo la vittoria di Joe Biden. Conversare con lui è sempre stimolante perché, perfettamente inserito da anni nelle dinamiche culturali e sociali americane, sa leggerle e presentarle a un interlocutore europeo con il pieno possesso delle sue categorie politiche, visto che a lungo sono state anche le sue. A me che gli chiedo subito delle prospettive di un’aggregazione transculturale, tra secolarizzati e credenti, quale il cattolico Biden è, lui risponde partendo dal dato anagrafico per inquadrare le sfide che aspettano il nuovo corso americano.
L’età è importante per definire Joe Biden espressione politica di un cattolicesimo democratico che sin qui non fa vedere nuove voci. La sua presentazione del “chi è chi” degli Stati Uniti d’America d’oggi fa notare infatti che esponenti affermativamente cattolici e più giovani di Biden e che possano indicare un movimento politico non si vedono. Ovviamente però quel cattolicesimo esiste, è però impegnato nel sociale e ascoltandolo si ha l’impressione che non sia intenzionato o interessato a dar vita a un fenomeno politico-culturale che incarni la visione che noi qui potremmo definire catto-progressista.
Certo, Faggioli sa che esistono delle importanti università cattoliche dei gesuiti, a Washington come a Boston e New York, che potrebbero esserne il volano, ma per costruire una cultura politica occorrono espressioni e le grandi strutture di quello che è stato negli ultimi anni il cristianesimo trumpiano e che dai tempi di Bush jr. ha dato vita a quello che è stato definito una sorte di “ecumenismo dell’odio”, rimangono senza uno sfidante effettivo, reale.
Questa mutevole egemonia oggi potrà mutare nuovamente, ma giganti come l’Università di Notre Dame, con i suoi 11 miliardi di bilancio, seguiteranno a collegarsi a riviste, think tank, istituti, emittenti, importanti e robusti: perché il Partito Repubblicano “rimane il Partito di Dio” e le loro ferme posizioni sul temi “etici” potrebbero trovare conferme e centralità se il campo radical ribadirà la propria fermezza opposta e contraria su questo terreno.
Le parole pronunciate dalla democratica Alexandra Ocasio-Cortez, “Joe Biden sa cosa ha significato per la sua vittoria il voto dei progressisti”, non sembrano indicare la scelta di un melting-pot facile tra cattolici democratici e sinistra radical. E ricordando recenti letture mi accorgo che questa è la stessa raccomandazione formulata da Noam Chomski, un nome sempre più di riferimento per certi ambienti del mondo “di sinistra” americano.
I Repubblicani hanno le loro carte in regola per seguitare a incarnare “l’intransigenza”, grazie al lavoro fatto nei decenni passati, e rimanere il Partito di Dio? Forse allora è importante chiedersi se nell’altra parte della politica americana si cerchino le risorse necessarie a dar vita a un vero blocco che unisca i “radical” che si affidano a un anziano signore cattolico per superare il grave momento di crisi nazionale, con quel centro che ha scelto perché garantito da Biden.
Il ragionamento del professor Massimo Faggioli ovviamente rimane aperto al futuro, ma i posizionamenti nei diversi campi che hanno sostenuto Biden già sembrano volerlo tirare da una parte, o resistere all’altra, più che offrirgli il sostegno a un progetto nuovo. “La difficoltà si percepisce anche in alcuni silenzi sulla prima vice-presidente americana”, la giovane Kamala Harris. “Speriamo che entri presto in tutte le complessità americane che dovrà fronteggiare in un ruolo molto importante”, osserva e così dicendo fa ricordare al suo interlocutore che in fin dei conti lei viene dalla California, che è una realtà ma non tutta la realtà.
Joe Biden potrebbe contare sui giovani, stufi di vecchie agende? La sua storia interventista è nota e potrebbe deludere alcuni ambienti che si ritrovano nel terzomondismo, anche se la scelta per il multilateralismo gli appare probabile, molto probabile e potrebbe costituire una base sulla quale costruire parecchio. Parlando con lui se ne ricava l’impressione che non sia infondato il timore che le agende dei radical e del “Partito di Dio” potrebbero incontrarsi in una opposizione di radicalismi che rende complesso un rinnovamento profondo del discorso politico.
Ascoltandolo viene da domandarsi se Joe Biden non sia quel “vecchio democristiano” che ove disponibile potrebbe anche qui apparire un approdo di garanzia agli occhi di molti, ma bisognoso di disponibilità e di visioni nei diversi campi culturali per edificare sulla de-radicalizzazione del discorso politico odierno. Per uscire dalle secche del presente l’anziano Joe Biden ha rappresentato il massimo di servizio che poteva ed ha consentito un’aggregazione che da difensiva probabilmente ora avrebbe bisogno di confrontarsi con la volontà di divenire propositiva e non solo autoaffermativa.