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Il governo fa i conti. Con la crisi sanitaria, economica e politica

La complessa procedura per l’approvazione della legge bilancio comincerà la prossima settimana. E, se tutto andrà bene, è prevedibile per Natale la fine del primo round. Ma basterà l’appoggio dei soli berlusconiani per portare a casa un risultato?

La legge di bilancio 2021 verrà presentata alla Camera lunedì o martedì prossimo. Da quel momento inizierà la complessa procedura, prevista dai Regolamenti parlamentari, per la sua approvazione. Si partirà dalla discussione in Commissione, intervallata dalle tradizionali audizioni di esperti, quindi, l’approvazione degli emendamenti ed il successivo intervento dell’Aula. E solo dopo il voto finale, il nuovo passaggio nell’altro ramo del Parlamento. Se tutto andrà bene, è prevedibile per Natale la fine del primo round e la definitiva approvazione nella settimana successiva. Un tour de force se si considera la latitudine della materia: ben 248 articoli e 203 pagine di sole norme. Articoli di legge come lenzuoli. Senza considerare poi gli allegati. Vale a dire relazione illustrativa, relazione tecnica della Ragioneria, tabelle varie. Un testo che alla fine, avrà la veste, di un tomo enciclopedico.

Tutto dovrà quindi svolgersi entro un massimo di 45 giorni, a causa dei ritardi con cui il Governo si è mosso nell’adempiere a questo dovere di carattere costituzionale. Una prima bozza della legge di bilancio era pronta fin dal 18 ottobre, per essere presentata alle Camere due giorni dopo, secondo quanto previsto dalla legge 163 del 2016, che aveva modificato la precedente disciplina (legge 243 del 2012). Sennonché quel testo, sebbene fosse stato anticipato da una conferenza stampa congiunta – Presidente del consiglio Giuseppe Conte e Ministro dell’economia Roberto Gualtieri – non è mai venuto alla luce. E ancora oggi non riproposto se non sotto forma di qualche anticipazione. Vista la mancata approvazione formale da parte del Consiglio dei Ministri.

Il tempo a disposizione del Parlamento, per metabolizzare un provvedimento così dilatato nei suoi contenuti, è troppo limitato per consentire un benché minimo approfondimento. Si cerca, pertanto, di individuare nuove sedi di confronto, come la Conferenza unificata dei capigruppo, per avviare quel dialogo maggioranza – opposizione da più parti auspicato. Dialogo che tende ad allargare, in qualche modo, il perimetro della maggioranza, includendovi il drappello dei berlusconiani. Con il pensiero recondito, almeno di una parte dell’attuale maggioranza governativa, di far fronte alle fratture, sempre più profonde, che caratterizzano i 5stelle, e che rischiano di determinare una crisi irreversibile dell’intero quadro politico. Con quest’ultima formazione politica destinata sempre più a ridursi al semplice cespuglio di una vecchia quercia, sopravvissuta ad ogni intemperie.

Va in questa direzione il dialogo che si è sviluppato tra lo stesso Silvio Berlusconi e Nicola Zingaretti. Quell’idea di giungere, proprio nell’esame della legge di bilancio, ad un doppio relatore, i quali, come avvenne durante il governo Monti, dovrebbero, in qualche modo, riscriverne il testo, concordando le principali misure. Allora furono Renato Brunetta e Pier Paolo Baretta a svolgere quel ruolo. Ma con una differenza sostanziale. In quel caso, le regole del bicameralismo furono rispettate. Il Senato, non accettò a scatola chiusa, le scelte compiute dalla Camera. Ma ne rimaneggiò, a sua volta, il testo, approfittando, come si disse, di qualche evidente ingenuità. Questa volta i tempi tecnici sembrano non consentire una doppia lettura effettiva. Palazzo Madama, nel ricevere il testo, in concomitanza con le feste del Natale, avrà poco da fare, se non accedere ad una sostanziale ratifica. Pena l’avvio dell’esercizio provvisorio: una iattura da scongiurare. Che tuttavia non sarà senza conseguenze: nei fatti l’approdo verso una sorta di monocameralismo. Da sempre l’auspicio di gran parte della sinistra italiana.

Questo è, quindi, quello che bolle nel pentolone della legge di bilancio. Da un lato la confusione governativa nella gestione della crisi pandemica, che a causa dei ritardi originari della scorsa estate, ha portato al modo compulsivo della decretazione legislativa. In quel susseguirsi di provvedimenti che si sono accavallati, senza avere il tempo di verificarne i possibili effetti. E che quindi hanno impedito, di fatto, una gestione ordinata delle scadenze anche di carattere costituzionale. Dall’altro la crisi della maggioranza. In una fase di sospensione della politica, la sua già scarsa capacità di tenuta si è ulteriormente aggravata. Con i 5 stelle destinati continuamente a perdere pezzi, sulla spinta del disincanto del proprio elettorato, sempre meno propenso a bersi le ubbie del semplice immaginifico.

Riusciranno i nostri eroi? Le pentole della legge di bilancio avranno tutti i necessari coperchi? Questo è l’interrogativo di fondo che, al momento, resta nell’aria. Basterà, infatti, l’appoggio dei soli berlusconiani per portare a casa un risultato che, appare, quanto meno problematico? E non solo perché le posizioni di merito tra i neo alleati sono, ancora, molto distanti. Sebbene qualche concessione, sulla vicenda Mediaset – Vivendi, abbia avuto un effetto accattivante. Ma perché la dimensione del provvedimento, di cui ancora non si conosce la composizione effettiva, è quello indicato in precedenza. Quel migliaio di commi, incardinato in oltre 250 articoli, che rappresentano la proposta del Governo, calamiterà un multiplo di emendamenti di cui non sarà facile sbarazzarsi. Se non allargando il compromesso alle altre forze in campo: vale a dire la Lega e Fratelli d’Italia. Di cui bisognerà conquistarli, come minimo, alla non belligeranza. Come dimenticare, altrimenti, gli algoritmi di Roberto Calderoli, e le casse di emendamenti che, grazie a loro, fu in grado, in altre occasioni, di presentare?

Grandi incertezze quindi. Con un ciclo politico che sembra esaurirsi. Lo si è visto chiaramente con gli “stati generali” dei 5 stelle. “Di doman non v’è certezza”: cantava Lorenzo il Magnifico, nel carnevale di Firenze, del 1490. Allora era elemento di spensieratezza. Oggi di maggior preoccupazione, stante una tripla crisi: sanitaria, economica ed ora anche politica.

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