Intervista a Nathan Law, fondatore di Demosisto, fra i leader della causa democratica a Hong Kong. L’arresto di Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam non sarà invano, a patto che l’Italia (insieme a Joe Biden) ne onori la memoria e respinga l’avanzata autoritaria cinese. Da Huawei al commercio, ecco da dove iniziare
Quasi impassibile, Nathan Law, 27 anni, tra i leader del movimento democratico di Hong Kong, commenta la notizia che è su tutti i giornali internazionali. Tre volti storici della causa, l’ex segretario di Demosisto Joshua Wong, Ivan Lam, Agnes Chow, hanno deciso di consegnarsi alla polizia per fare i conti con il processo che li attende. L’accusa, aver partecipato a un’assemblea illegale, vietata dalla nuova Legge sulla Sicurezza nazionale imposta dal governo centrale cinese. La condanna in arrivo può spingersi a cinque anni dietro le sbarre. Law è a Londra, dove è fuggito in esilio questa primavera, mentre Pechino stringeva la morsa sul Porto profumato. Ora, confida a Formiche.net, ripone le speranze in Joe Biden per la nascita di “un’alleanza internazionale per i diritti umani”. Anche l’Italia può fare la sua parte.
Nathan Law, cosa succederà ai suoi compagni?
La persecuzione politica prosegue. Joshua, Ivan, Agnes faranno i conti con la rappresaglia del governo cinese. Parlano di una condanna fino a un massimo di cinque anni. Credo che ne passeranno almeno uno dietro le sbarre. Possono provare a rimandare, ma sarebbe inutile. Andranno subito in prigione.
Perché consegnarsi?
Non avrebbero comunque potuto lasciare la città. Hanno sempre scelto di rimanere sul terreno, a coordinare il movimento, questo gli fa onore. Si sono consultati con i loro avvocati e hanno scelto di consegnarsi. Ma più di tutto hanno scelto di lanciare un messaggio. La persecuzione non ferma la lotta per la libertà.
È il colpo definitivo per il vostro movimento?
Il movimento sta attraversando un ciclo. Come un pendolo, ha raggiunto il suo picco lo scorso anno, ora sta toccando il fondo. Ma non si spegnerà, finché persone come Joshua continueranno a dare la loro testimonianza rischiando la vita. Io da qui dò il mio contributo.
Quanto tempo resta a Hong Kong prima che l’ultimo barlume di autonomia si spenga?
Il tempo è già scaduto. Con l’imposizione della Legge sulla sicurezza nazionale, il governo cinese ha spazzato via ogni residuo di libertà, dalla notte al giorno. Il sistema giudiziario è montato ad arte. Qualsiasi processo è ormai sotto la giurisdizione di Pechino.
Come si può rallentare il processo?
Il cammino sarà lungo e in salita. Xi Jinping sta proseguendo nell’accentramento del potere e nella soppressione del criticismo della comunità internazionale. C’è solo un modo per abbattere il muro della censura. Un’alleanza trasversale per condannare con forza le violazioni dei diritti umani e mettere il governo cinese di fronte alle sue responsabilità.
L’Europa sta facendo abbastanza?
Per fortuna c’è chi non si limita più ai soli comunicati stampa. Ci sono Paesi europei che hanno mosso passi concreti, siglando trattati con Hong Kong o introducendo l’embargo sulle armi da Pechino. Per invertire almeno in parte il corso degli eventi bisogna rallentare l’espansione cinese in Europa. E, ripeto, formare un’alleanza a difesa della democrazia.
Tre mesi fa era a Roma, di fronte alla Farnesina, a chiedere supporto dal governo italiano. È arrivato?
Spero che nei mesi a venire mostri più impegno nello sforzo di costruire una coalizione internazionale a difesa dei diritti umani. E che tenga conto di questo aspetto nei suoi accordi commerciali. È bene ricordare agli italiani che legarsi troppo alla Cina è un rischio. La compiacenza ha un prezzo.
Joe Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Cosa si aspetta da lui?
Quello che ha promesso. L’amministrazione Biden vorrà porsi alla guida di un asse internazionale a difesa della democrazia. Abbiamo bisogno di un’America forte, leader, che sappia contenere l’avanzata autoritaria cinese, possibilmente in un modo più coordinato.
Da dove si parte?
Dal fronte tecnologico, ad esempio, soprattutto il 5G. Le democrazie occidentali devono dotarsi di standard più alti nella fase di scrutinio dell’equipaggiamento per proteggere le proprie infrastrutture critiche. Bisogna aumentare la consapevolezza dei rischi che derivano dall’adozione di materiale tech da aziende come Huawei o altre compagnie cinesi legate al governo.