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Il jihadismo è cambiato, è tempo che lo faccia anche l’Europa

Alla strategia del terrore va opposta la forza di un’identità da ritrovare ed una volontà di reazione adeguata allo scopo. L’alternativa è vederci travolti da una sanguinosa guerra che incrocia la pandemia, profittando della nostra oggettiva debolezza. Il commento di Gennaro Malgieri

Di tanto in tanto ci si dimentica che l’Europa è sotto attacco da parte degli islamisti. Soltanto quando si verifica qualche efferato delitto sembra che ci si ridesti dal colpevole sonno nel quale siamo piombati.

In realtà, anche quando i “cani sciolti” o la teppaglia jihadista che opera sul nostro Continente sembrano addormentati, noi tutti europei dovremmo sapere che essi sono ben desti e ad altro non pensano se non a preparare uno dei loro feroci assalti a persone o cose, senza neppure un pretesto, ma soltanto per tenere viva la guerra contro gli odiati cristiani.

La decapitazione di Samuel Paty a Parigi, il 16 ottobre scorso, e la strage nella basilica di Notre Dame a Nizza, pochi giorni fa, ci ricordano che i tanti Abdullakh Anzorov, autore del primo omicidio, e i Brahim Aouissaouia, l’accoltellatore che ha fatto tre vittime nella cattedrale ed il saudita che a Gedda, nelle stesse ore aggrediva la guardia del consolato francese, formano una legione invisibile votata a destabilizzare l’Europa e tutto ciò che di europeo vive nel mondo arabo, africano ed orientale.

Non hanno bisogno di grandi mezzi, né di strutture sofisticate per attuare i loro piani criminali: bastano talvolta armi rudimentali ed un acceso fervore islamico. Le prime si trovano facilmente, come un’ascia ed un coltellaccio, ma anche una pistola o un mitra gentilmente fatte arrivare quali graditi doni dai Balcani o dal Caucaso dove l’islamizzazione è ormai la caratteristica identitaria di quelle terre, senza necessariamente scomodare l’effervescente mondo mediorientale.

La vocazione a martirizzare il nemico e farsi talvolta essi stessi, militanti della jihad, martiri bramanti di abbracciare le vergini promesse dal Profeta in attesa nel paradiso di Allah è più complessa. Necessita di bacini di coltura, di madrasse domestiche, di indottrinamento menzognero. Il veicolo della diffusione del verbo islamista è il web attraverso il quale fomentare l’odio, diffondere la “guerra santa”, fare proselitismo.

Le occasioni per mostrare i frutti di questo abominevole lavorio sono a portata di mano. Una chiesa non protetta o un professore che tiene una lezione sulle vignette satiriche che irridono a Maometto possono innescare una reazione violenta indipendentemente senza avere alcun riguardo chi si colpisce: l’obiettivo è sempre “buono” fintantoché le vittime suscitano lo scalpore cercato e la via di Internet affinché tutto il mondo islamista, fino alle più estreme propaggini si esalti, è quella migliore, idonea ed efficace al raggiungimento dello scopo.

La radicalizzazione jihadista non richiede, dunque, come al tempo dell’espansione del terrorismo islamico una organizzazione costosa e a rischio di essere individuata e combattuta con strategie militari. È il “lupo solitario” che può seminare il panico, uccidere, minacciare rischiando poco o nulla e soprattutto senza dover dare conto a nessuno, se non a chi lo guida nella stretta cerchia a cui appartiene, spesso familiare.

Ma è anche la cosiddetta “società civile” nel mirino del neo-radicalismo islamico europeo. Sono soprattutto i giovani, infatti, a mimetizzarsi, assumendo costumi ed atteggiamenti occidentali, tra coloro che mai sospetterebbero gli intenti che perseguono. Spregiudicatamente, soprattutto nelle banlieu, diventano “ amici” di ragazze e ragazzi, intrecciano flirt, si comportano laicamente per non fornire sospetti, accantonano modi di essere truci ed apertamente ostili, si fingono “ simpatici” per farsi accettare e soprattutto per non istillare sospetti sulla loro reale identità.

Quando il frutto è maturo indossano le vesti dei combattenti dell’Islam e con la complicità di familiari, correligionari, conterranei o comunque appartenenti al vasto mondo arabo, si danno alla caccia della preda. Il professore parigino e le vittime nizzarde erano facili da aggredire e di fronte alla mimetizzazione è difficile per le forze dell’ordine riuscire a decifrare le reali intenzioni di giovani che assomigliano a tutti gli altri.

Lo stesso registro europeo sull’antiterrorismo, istituito nel 2018, e gestito da Eurojust, non sembra abbia conseguito i risultati sperati, come provano i recenti fatti francesi. C’è bisogno di una intelligence europea che operi su vasta scala e dotata di poteri che, agendo nell’ambito costituzionale, possano andare oltre i limiti che una certa concezione della legalità piuttosto ampia garantisce ai cani sciolti islamisti.

E dunque con un’opera di infiltrazione, di irruzione in ambiti prevedibili, di sorveglianza strettissima dei siti web fino a chiuderli senza porsi problemi di censura, opporre il radicalismo dell’intelligenza investigativa al radicalismo omicida e fideista di ignoranti indottrinati. Ma soprattutto è necessario sorvegliare le frontiere in maniera molto più stringente di quanto accade oggi. L’assassino di Nizza arrivava da Lampedusa…

Vi sono “garanzie” che è lecito sospendere quando si profila lo “stato di eccezione”. E ciò vale sia per la difesa interna che nei rapporti internazionali. È francamente inaccettabile, a questo riguardo, che l’istigazione alla inimicizia e alla diffusione dell’islamismo in chiave antieuropea del Sultano neo-ottomano Tayyp Erdogan non trovi concorde l’Unione europea ad inasprire la polemica con la Turchia fino a considerare il suo governo mallevadore di violenza contro le sue nazioni.

Le parole che abbiamo sentito proferire da Erdogan e dai suoi accoliti dopo i sanguinosi attentati in Francia dovrebbero indurre i governanti europei ad una significativa presa di distanza anche in considerazione della costante violazione dei diritti umani e dei popoli (i curdi) praticata dai turchi, alleati dei peggiori nemici delle pace in Europa, a cominciare dall’Azerbaigian che ha lanciato un’offensiva dalle conseguenze imprevedibili contro l’Armenia per l’appropriazione del Nagorno-Karabakh, un’altra area dove il jihadismo prospera grazie ai finanziamenti di paesi islamici e nell’indifferenza dell’Europa.

L’attacco presumibilmente non è finito a Parigi e a Nizza. È in atto, attraverso l’azione di militanti di un’idea distorta e blasfema del Corano, una pericolosissima “provocazione” ai Paesi del nostro Continente, finalizzata ad accedere cuori che sembrano spenti nel tentativo di innervare nelle nostre contrade un islamismo a bassa intensità che può colpire come e quando vuole. A questa strategia va opposta la forza di un’identità da ritrovare ed una volontà di reazione adeguata allo scopo se non vogliamo vederci travolti da una sanguinosa guerra che incrocia la pandemia, per disgrazia, profittando della nostra oggettiva debolezza. Il jihadismo è cambiato. Anche l’Europa, per quanto difficile, è tempo che cambi.

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