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Investimenti, debito e sanità. I consigli del Gruppo dei 20 di Paganetto

Non è più tempo di misure frettolose e allestite sull’onda emotiva dell’emergenza. In Europa, come in Italia, serve ricominciare a pensare in grande, con un grande piano di investimenti e spesa che guardi al post-pandemia. Cominciando col prendersi il Mes. Il documento firmato da Luigi Paganetto, vicepresidente di Cassa Depositi e Prestiti e presidente della Fondazione Economia di Tor Vergata

Guardare oltre il proprio naso può fare la differenza in un’Europa che cerca disperatamente di scrollarsi di dosso la peggiore crisi socio-economica degli ultimi 75 anni. E il messaggio che arriva da Tor Vergata va proprio in questa direzione. Luigi Paganetto, economista, presidente della Fondazione Economia Tor Vergata e vicepresidente di Cassa Depositi e Prestiti, ha appena messo la firma su un documento del Gruppo dei 20 – Revitalizing Anaemic Europe, nato in seno alla Fondazione Economia Tor Vergata, al quale hanno contribuito e collaborato economisti del calibro di Paolo Guerrieri, Rainer Masera, Beniamino Quintieri, Lucio Scandizzo e Giovanni Tria, Michele Bagella, Patrizio Bianchi, Claudio De Vincenti, Giampaolo Galli, Luigi Gambardella, Roberto Monducci, Luigi Nicolais, Costanza Pera e Riccardo Perissich.

Il titolo è quanto mai azzeccato: Serve un piano con una visione che parta dalla sanità e guardi al medio termine mentre l’obiettivo è mandare un segnale chiaro all’Italia, ma anche all’Europa, che tra poche settimane comincerà a elargire 750 miliardi di aiuti ai Paesi membri.

BASTA INSEGUIRE IL VIRUS

Il punto di partenza è che il virus e i suoi effetti devastanti va combattuto in maniera diversa, senza soluzioni pensate quando la situazione precipita. Serve pensare in grande, con una buona dose di lungimiranza. “In questo nuovo contesto”, si legge, “occorre evitare che gli interventi per l’emergenza, a questo punto nuovamente necessari, rappresentino un episodio di inseguimento degli eventi, piuttosto che la loro prevenzione. Per questa ragione, è necessario che le scelte per sanità ed economia siano pensate in modo che l’emergenza sia coniugata con un programma di medio periodo indispensabile per garantire l’uscita dalla recessione evitando di trovarsi al momento giusto senza la ricetta per procedere in avanti”.

UN NUOVO PIANO VANONI

Paganetto cita in proposito l’esperienza dei grandi piani del passato. Oggi l’Europa può ripartire dal Recovery Fund, ma la storia può aiutare. “La crisi del post Covid si è accostata spesso all’economia di guerra e il Recovery and Resilience Plan al Piano Marshall del 1947. Tuttavia, ci si dimentica di dire che a quest’ultimo nel nostro Paese seguì, nel 1955, il Piano Vanoni (Ezio, dal nome delll’allora ministro delle Finanze nei governi De Gasperi e Fanfani, ndr). L’esperienza storica del piano Vanoni è significativa per le vicende dei giorni nostri, perché esso fu varato proprio quando c’era ancora l’emergenza della ricostruzione. Esso fu concepito come un piano decennale che aveva quattro obbiettivi: la creazione di 4 milioni di posti di lavoro, la riduzione dello squilibrio tra Nord e Sud, l’aumento dell’export e il conseguente pareggio della bilancia dei pagamenti e la redistribuzione delle forze di lavoro. Dire che oggi ci serve uno schema di riferimento complessivo in cui collocare scelte d’azione significa dire che, se nel 1955 un piano è stato necessario, altrettanto lo è oggi”.

L’ORA DI UNA VISIONE (SENZA BLUFF)

Il problema è che “non si può aspettare la fine dell’emergenza e contare sull’avvio della ripresa per metterci mano. È necessario avere un progetto con cui intervenire evitando di inseguire o farsi precedere dagli eventi. Certo. Sono passati i tempi del ministero del Bilancio e della Programmazione economica. Ciò non vuol dire, però, che le scelte necessarie per la ripresa dalla pandemia si possano fare senza una visione. Allo stesso tempo, serve un quadro di compatibilità macroeconomica con un’indicazione esplicita di priorità degli obbiettivi da raggiungere e degli strumenti da utilizzare”.

E guai a bluffare, ovvero a vendere obiettivi senza sapere bene come raggiungerli, avvertono da Tor Vergata, con un esplicito riferimento all’esecutivo italiano. “In questo senso, non aiuta molto l’indicazione del governo di un obbiettivo di raddoppio del tasso di crescita del Pil se non si dice come si può e si vuole realizzarlo”.  Ma di quale visione si tratta? La risposta arriva dalla stessa Fondazione guidata da Paganetto.

PRENDIAMOCI IL MES

Una visione “in cui domini il contrasto all’incertezza nella sanità, con interventi che recuperino ritardi e fiducia nell’azione di governo attraverso la destinazione mirata e tempestiva di risorse, in particolare alle aree in cui l’emergenza sanitaria è più grave, ma anche attraverso il controllo dei meccanismi di diffusione della pandemia, come i trasporti. Servono interventi che diano a tutti non solo regole di comportamento ben precise ma, allo stesso tempo, la certezza di poter ricevere l’assistenza necessaria in modo tempestivo sia a livello di prevenzione che di cura a livello del territorio; – senza una riduzione del senso di insicurezza che domina i comportamenti individuali non è possibile avviare alcun tipo di ripresa dell’economia”. E, “i fondi Mes, a ragione della loro disponibilità immediata, rappresentano la scelta più ovvia. In alternativa, bisogna utilizzare subito altre risorse per gli investimenti a carattere additivo che sono necessari”.

INVESTIRE PER (NON) SOCCOMBERE

Non è tutto. La visione suggerita dagli economisti di Tor Vergata passa soprattutto per gli investimenti. E anche qui serve chiarezza, oltre che visione. “Investire sul capitale umano è essenziale per il mondo di oggi e, ancor più, per quello del futuro”, si legge nel rapporto. “Con investimenti pubblici in infrastrutture, cominciando dalle opere pubbliche da completare al Sud. Ciò potrebbe dare risultati concreti in tempi ragionevolmente brevi, contribuendo a ripristinare la credibilità dell’azione pubblica, punto decisivo in materia di aspettative. La credibilità è incrinata non solo dai progetti incompleti, ma anche dalla gran massa di investimenti finanziati e non realizzati per effetto di blocchi procedurali e burocratici”.

ALLA RICERCA DEL BUON DEBITO

Investimenti sì, ma di qualità, un po’ come suggerito questa estate da Mario Draghi in occasione del suo intervento al Meeting di Rimini. In una parola, buon debito. “C’è una forte esigenza che venga data priorità ai buoni investimenti, quelli cioè che si ripagano da soli e non creano debito per le nuove generazioni. Gli investimenti sulle reti a banda larga e quelle a favore della transizione energetica ne sono un buon esempio. Supercalcolo e Big Data sono aree in cui gli investimenti pubblici sono determinanti con effetti importanti sulla crescita e con una possibile, ampia partecipazione dei privati. Gli investimenti sul digitale devono tenere in grande evidenza gli effetti di trasformazione che questa tecnologia “general purpose” avrà su un gran numero di settori a cominciare da sanità, trasporti, mobilità e città “smart”, con le conseguenti necessità di investimento

OCCHIO AL DEBITO

Naturalmente, qualunque piano di rilancio che si rispetti deve essere sostenibile e dunque in un certo senso, rispettoso per quanto possibile delle finanze pubbliche. Guai a scordarsene. “La questione del vincolo di bilancio sembra oggi quasi dimenticata. Tanto più che, leggendo le anticipazioni di questi giorni sulla legge di bilancio, si ricava l’impressione che la sua impostazione nasconda l’ipotesi implicita della mancanza di un vincolo di bilancio. Inoltre, dei 40 miliardi circa della manovra solo meno di 10 possono essere ascritti a quello che nel Nadef viene indicata come una manovra di crescita e sviluppo. Tra di essi, la parte che riguarda il Sud, taglio del cuneo e fiscalità di vantaggio riguardano più la riduzione del costo del lavoro al Sud che una vera politica di sviluppo. Un piano decennale per lo sviluppo del Paese come sarebbe auspicabile si definisse non potrebbe non aver al centro la questione Nord-Sud, a partire dalla ‘questione settentrionale’ che si pone dal momento in cui arretra il prodotto per abitante del nostro nord rispetto alle regioni a maggior crescita”.

VERSO UNA NUOVA EUROPA?

La conclusione di Paganetto e degli economisti è la seguente: è accettabile e comprensibile che in questo momento l’imperativo sia abbassare la curva dei contagi e aiutare a sopravvivere le imprese. Ma verrà un momento in cui bisognerà ricostruire un tessuto produttivo e industriale. E allora, tanto vale gettare fin da subito le basi. “La scelta di guardare nell’immediato alle esigenze che nascono dalla recrudescenza del Covid può andar bene a condizione che venga definito subito un quadro di compatibilità macroeconomiche ed una visione per lo sviluppo. Occorre, allo stesso tempo, che si proceda ad una revisione immediata dell’allocazione decisa fino ad oggi delle risorse stanziate per circa 100 miliardi con lo scostamento di bilancio a deficit deciso per il 2020, per la parte non spesa e che non ha riguardato né interventi di emergenza per il sostegno di imprese e redditi familiari colpiti dalla crisi e che non sono configurabili come stanziamenti per programmi di crescita e di sviluppo che, al contrario, non sono ancora definiti. Per rimanere al Piano Vanoni, obbiettivi prioritari potrebbero essere quelli della riduzione del divario Nord-Sud, export e competitività, riassorbimento della disoccupazione, educazione, nonché Smart Cities e trasporti”.

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