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Il rischio in Iran dopo l’assassinio di Fakhrizadeh. L’analisi di Pedde (Igs)

La saldatura generazionale tra la linea ultra-conservatrice della seconda generazione iraniana con quella nazionalista della terza generazione rischia di produrre un cataclisma per i nostri interessi. Conversazione con Nicola Pedde (Igs)

Secondo la ricostruzione di Fars News, agenzia stampa governativa iraniana, lo scienziato Mohsen Fakhrizadeh sarebbe stato ucciso da una mitragliatrice robotica. L’agenzia è legata all’Irgc, il corpo militare teocratico (noto come i Guardiani della Rivoluzione), di cui – secondo informazioni non confermabili – Fakhrizadeh era parte. L’ingegnere è stato ucciso mentre si stava spostando con la moglie a Damavand, zona montagnosa a ottanta chilometri a est di Teheran, dove vivevano alcuni parenti. Viaggiava su un’auto blindata parte di un convoglio di tre mezzi: quando il primo ha lasciato gli altri per portarsi avanti e perlustrare il perimetro della casa in cui i coniugi Fakhrizadeh erano diretti, da un pick-up Nissan sono partiti i primi colpi.

L’ingegnere è sceso pensando a una foratura, e a quel punto il robot-mitragliatore montato sul cassone del pick-up ha aperto la raffica. Tutto è durato soli tre minuti, spiega Fars, e poi il veicolo (che si trovava a 150 metri dal bersaglio) si è auto-distrutto. A giudicare dalle immagini, la raffinatezza dei colpi è elevatissima: molti centrati nei finestrini, e dunque, o l’arma robotica era altamente sofisticata, oppure la versione diffusa domenica dai Pasdaran non è troppo veritiera. D’altronde erano state le stesse Irgc a raccontare per prime qualcosa di diverso: si parlava di un pick-up fatto esplodere, della caduta di un traliccio dell’elettricità durante l’esplosione che ha bloccato la motorcade dello scienziato, e poi dell’arrivo di un commando composto da una dozzina di uomini che ha sparato mandando pochi colpi a vuoto (dunque professionisti o molto bene addestrati).

Possibile che i Pasdaran stiano cercando modi per giustificare il buco di sicurezza con varie versioni, anche contraddittorie. Su quanto successo, l’accusa guarda al Mossad: il governo iraniano ha parlato di un’operazione “sionista”, ossia israeliana. Ma perché, e perché adesso? “Partiamo da una considerazione: chi era Mohsen Fakhrizadeh? Per quanto sappiamo, era un fisico nucleare, docente della Imam Hussein Unievristy, che è un centro di eccellenza delle Irgc dove vengono sviluppati i programmi nucleari. Che stesse costruendo una bomba però ce lo dicono gli israeliani perché ufficialmente l’agenzia internazionale sul nucleare, che è quella che tutti noi come Comunità internazionale contribuiamo a tenere attiva, sostiene che è altamente improbabile che in questo momento la Repubblica islamica abbia realmente le capacità di sviluppare l’arma atomica”, risponde a Formiche.net Nicola Pedde, direttore dell’Institute of Global Studies e tra i massimi esperti italiani di Iran.

Secondo quanto da anni circola sui media, sempre attraverso informazioni filtrate da fonti anonime tra intelligence israeliana o statunitense, il programma nucleare iraniano sarebbe clandestino, e lo sviluppo sarebbe continuato nonostante Teheran abbia – cinque anni fa – accettato di partecipare a un accordo di congelamento del piano. L’intesa va sotto l’acronimo Jcpoa – l’Iran, dopo l’uscita statunitense del 2018, ha avviato alcune violazione concesse dal Nuke Deal, ma ora sta sforando oltre i termini, soprattutto su quantità in stoccaggio di materiale radioattivo e sulla tipologia di centrifughe utilizzate, e domenica ha annunciato nuove violazioni per rappresaglia. “Quella che abbiamo visto è stata un’azione unilaterale, basata su informazioni unilaterali che non è detto che non siano vere, ma non sono corroborate da prove. Sulla base di ciò, quando parliamo del programma clandestino iraniano parliamo di una presunzione di esistenza. Possibile che esista, ma non è provato”, aggiunge Pedde.

Fakhrizadeh era comunque una figura molto importante e sensibile (d’altronde un professore comune non viene scortato da due auto dei Pasdaran e non si muove in un mezzo blindato come faceva lui). Tra l’altro aveva l’incarico di guidare altri progetti di ricerca, tra questi quello contro il Covid: la pandemia ha colpito molto duramente l’Iran, che sottoposto a embargo anche su prodotti sanitari ha dovuto sviluppare indipendentemente una serie di farmaci antivirali. Si parla anche di un vaccino iraniano, che quando arriverà dovrebbe essere chiamato col nome dello scienziato ucciso. Anche per questo ruolo, oltre che per i possibili contraccolpi e rappresaglie, l’assassinio di Fakhrizadeh ha ricevuto molteplici condanne. L’Unione europea l’ha definito “un atto criminale”, e posizioni molto critiche sono arrivate dal Regno Unito, dalla Turchia, e da Emirati Arabi, Oman e Giordania; critiche anche da parte di ex alti funzionari statunitensi.

“Questo perché l’episodio non ha nulla a che vedere con il programma e tantomeno con il Jcpoa, ma è stato un palese atto di ostilità contro l’Iran che ha come obiettivo innescare l’escalation. Ossia, sfruttare la finestra temporale che la scadenza dell’amministrazione Trump concede per sparare cartucce velenose, che difficilmente saranno permesse in futuro, e che servono per complicare la vita alla presidenza Biden, che come sappiamo ha già annunciato l’idea di tornare al dialogo con Teheran”, commenta Pedde. Secondo l’analista, “l’assurdo” di certe mosse è che tutto va a favore della componente interna iraniana composta da coloro che vedono nel continuare un dialogo – e nel Jcpoa – un problema per i propri interessi. Figure legate al mondo ultra-conservatore e soprattutto all’industria militare.

Cosa ci troviamo davanti? “I prossimi saranno giorni importantissimi, perché occorre vedere che posizione prenderà il presidente eletto Joe Biden: è quello che stanno aspettando a Teheran Tutto dipende da questa posizione, perché se dovesse non essere chiaro contro l’azione o addirittura avallarla, il rischio è che le rappresaglie (perché purtroppo sappiamo benissimo che arriveranno) potrebbero espandersi a tutta la regione”. Washington finora è stata ferma: dal Transition Team di Biden non sono arrivati commenti, né tanto meno dall’amministrazione uscente – il presidente Donald Trump ha ritwittato informazioni sull’accaduto, consapevole che in quel caso un RT può benissimo essere letto come un endorsement, ma senza esporsi in forma diretta.

“Il punto è che noi, come europei e come italiani, dobbiamo iniziare a porci una domanda: quanto queste azioni condotte da Israele, più che altro per volontà politica (interna) del primo ministro, sono compatibili con i nostri interessi nazionali e internazionali? Perché io vedo un problema preoccupante, frutto dell’inasprirsi delle tensioni”, aggiunge Pedde. Quale? “La prima generazione post-rivoluzionaria nella Repubblica islamica è sempre stata molto pragmatica: c’è chi dice che la scelta di non sviluppare a fondo il programma nucleare è frutto di considerazioni ideologico-religiose, ma io credo che sia stata una decisione strategica. L’atomica avrebbe trasformato l’Iran in un obiettivo legittimato. Ora vediamo che la seconda generazione ha iniziato a mettere in discussione questo pragmatismo e il rischio per me è la saldatura di certe posizioni con le visioni nazionaliste della terza generazione. Questa saldatura generazionale potrebbe produrre un cataclisma per i nostri interessi”.



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