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Perché investire sulla stabilità in Africa. Parla Karima Moual

“La stabilità dell’Africa o del Medio Oriente è l’assicurazione sulla nostra stabilità”. Conversazione con la giornalista Karima Moual sulla contesa del Sahara occidentale

“La stabilità dell’Africa o del Medio Oriente è l’assicurazione sulla nostra stabilità. Il Marocco in questo caso, è il Paese più vicino all’Europa ed è uno dei Paesi che ad oggi, e con non poca fatica, si è aggiudicato questo clima di stabilità riconosciuto a livello internazionale”. Lo dice a Formiche.net a proposito della contesa del Sahara occidentale la giornalista Karima Moual, che lancia un appello: l’Italia investa davvero nel ponte con l’Africa.

In questi ultimi giorni si sono accesi i riflettori sul Sahara marocchino. Perché per l’Italia è importante non perdere di vista quello che sta avvenendo in quel confine?

Intanto, c’è da ammettere che nel nostro Paese, purtroppo, la narrativa sulla contesa del Sahara occidentale è il risultato di un racconto, sbilanciato e poco obiettivo, che ha finito per inquinare il dibattito apportando molta propaganda e pochi fatti concreti. Ecco, in Italia c’è bisogno di un grande lavoro accademico e informativo su questa questione che non può più essere raccontata solo dai militanti pro-Polisario, non solo per la sua complessità ma anche per un’onestà intellettuale verso una comunità plurale, quella marocchina, che comprende anche l’etnia sahrawi. Quello che non si racconta per esempio è che una grande maggioranza di sahrawi è contro il Fronte Polisario. I sahrawi abitano con la loro cultura il loro apporto nel territorio marocchino e partecipano alla politica nazionale con 40 deputati e 1100 eletti locali. Il Sahara conosce uno sviluppo economico e sociale importante che posiziona questa regione come seconda in investimenti di infrastrutture e quinta per capitale. Il governo ha avviato un piano di sviluppo regionale di 8 miliardi di dollari. Mentre dall’altra parte c’è chi sfrutta la miseria di migliaia di persone private della loro libertà.

Perché il terrorismo di un gruppo separatista come quello del Fronte Polisario mette in gioco la stabilità non solo della regione ma anche del continente africano, con conseguenti ripercussioni in Europa?

Credo che ormai dovremmo aver imparato la lezione, da quanto accaduto con Al Qaeda e poi con l’Isis, Boko Haram, Aqmi. E cioè che non siamo del tutto immuni da ciò che accade a sud del Mediterraneo. Da una parte ce lo hanno ricordato gli attentati, e ancor peggio la velocità con la quale con un click viaggia nel web l’ideologia jihadista che poi prende il corpo di una seconda generazione nata e cresciuta in Occidente, scoprendosi mano armata del terrorismo. Dall’altra, gli sbarchi di migliaia di immigrati che fuggono da territori poco accoglienti ma anche dai conflitti armati dal jihadismo. La stabilità dell’Africa o del Medio Oriente è l’assicurazione sulla nostra stabilità. Il Marocco in questo caso, è il Paese più vicino all’ Europa ed è uno dei Paesi che ad oggi, e con non poca fatica si è aggiudicato questo clima di stabilità riconosciuto a livello internazionale. Quanto è successo in questi giorni al confine di Guerguerat – con le provocazioni del Fronte Polisario che di fatto impedivano la circolazione di civili e merci, obbligando il Marocco ad intervenire – è compromettere questo percorso, che evidentemente non potrà che trascinarsi dietro di sé uno dei pochi territori africani in cui abita la pace. Vi è massima fiducia nel diritto internazionale, per arrivare a una soluzione alla contesa sul Sahara. I numerosi rapporti di intelligence di Paesi stranieri insieme a quelli degli istituti di studi sul terrorismo ci hanno segnalato e documentano le infiltrazioni terroristiche nel gruppo, che non sono da sottovalutare.

Qualcuno cerca di approfittare del caos dettato dalla pandemia? Con quali obiettivi?

È evidente che l’attenzione e le energie di tutti i Paesi sono concentrate sul superamento di questa pandemia. Ciò può significare l’abbassamento della guardia su altro che prima era emergenza. Gli ultimi attentati che sono avvenuti dal Mozambico a Kabul fino alla Francia e Austria, sono un fanalino di allarme per noi nel mantenere sempre alta l’attenzione. Chi usa la forza non affidandosi alla legge, trova sempre lo spazio e il tempo favorevole nei momenti di crisi, in questo caso la pandemia, pensando che sia allentata l’attenzione. Per il Fronte Polisario l’obiettivo non può che essere quello di riaccendere la tensione provando a sconvolgere le dinamiche di una soluzione politica che in questi anni le Nazioni Unite hanno provato a costruire tra tutte le parti coinvolte nella contesa, inclusa l’Algeria come parte principale, al fine di non arrivare alla violenza. L’ennesimo errore del Fronte Polisario evidenzia la sua debolezza.

Quale strategia dovrebbe mettere in piedi l’Europa per non abbandonare il Sahara marocchino?

L’Europa ha già una posizione positiva e costruttiva in merito alla controversia regionale sul Sahara. Nell’ultima sessione del consiglio di associazione Ue-Marocco, le due parti hanno parlato con lo stesso linguaggio riferendosi alla questione del Sahara evidenziando come ci sia fiducia nel percorso e nella dinamica avviata dal segretario generale per raggiungere una soluzione politica alla controversia. L’Europa ha un atteggiamento positivo rispetto all’iniziativa di autonomia proposta dal Marocco nel 2007 come base della soluzione. Il Marocco rimane un partner affidabile e principale dell’Europa e lo testimonia la sua collaborazione consolidata sui temi di un’agenda globale, come la lotta contro il terrorismo, il clima, l’immigrazione. Peraltro, gli accordi dell’Ue con il Marocco inglobano tutti la regione del Sahara senza distinzione fra le altre regioni.

Basterà?

Certo che no, perché l’Europa deve prestare più attenzione alla situazione delle persone che vivono nei campi di Tindouf, prive di libertà, accampate e private del loro futuro perché qualcuno ha deciso di vendergli un’utopia irrealizzabile. L’Europa deve fare pressione sull’Algeria, vero artefice e maestro di questa controversia, per portarla ad impegnarsi seriamente nella ricerca di una soluzione politica basata sul compromesso. L’Ue può aiutare ad uscire dall’impasse, e liberare Polisario dalla prigione che si è costruito in questi anni con l’appoggio dall’Algeria.

L’Italia quali policies dovrebbe programmare per non restare marginale nel continente africano, dove l’invasività cinese è già un fatto acclarato?

L’Italia da Paese con grandi chance da giocarsi nell’area, continua ad agire con timidezza e poca visione, ahimè. Eppure ci sono molti punti in comune tra noi e i tanti Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Sta crescendo in Italia una seconda generazione di giovani provenienti da diversi Paesi dell’Africa, colta e preparata. Un ponte naturale tra noi e l’Africa. Ma sembra ancora che non si riesca ad individuare il capitale umano africano sul quale investire. Ci è voluto il gigante cinese per ricordarci che di fronte a noi c’è un continente che è una risorsa. Per non restare marginali nel continente africano bisogna cambiare paradigma: non si può dialogare solo in chiave di sbarchi, ma serve una vera cooperazione e importanti investimenti, che non riguardino solo le merci ma anche la cultura, la ricerca, le università. Un dare e avere anche per dare risposta al nostro lamentarci sui continui sbarchi irregolari. Trovo infatti che i barconi che arrivano pieni di donne uomini e bambini che fuggono dalle guerre, o dalla miseria, sono un grido forte al nostro fallimento, perché non siamo più capaci di guardare al di là del nostro cortile.

Da queste colonne il presidente della Commissione Esteri della Camera, Piero Fassino, ha detto che dovremmo considerare l’Europa, il Mediterraneo e l’Africa come un unico continente macroverticale, dal polo nord a Cape Town, sempre più investito da problemi comuni. Che ne pensa?

Penso che abbia ragione, ma so anche che questa lettura continua ancora a trovare non poche difficoltà a concretizzarsi in politiche che possano far sì che questo continente macroverticale possa dialogare insieme e costruire futuro. Ci vogliono diversi pionieri di questa idea da nord a sud, disposti non solo a crederci ma anche a progettare il cambiamento. La strada è ancora in salita, anche perché la crescita dei sovranismi in questi anni ci ha fatto fare molti passi indietro, basti guardare agli Stati Uniti dove Biden ha vinto ma secondo Trump no.

twitter@FDepalo

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