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L’altro virus. Se la politica dimentica la povertà

A nove mesi dall’inizio dell’emergenza, la vita istituzionale del Paese è in stallo, il Parlamento ridotto a seggio elettorale permanente. Fuori da quei palazzi, inascoltati, aumentano i poveri e gli emarginati. Il commento di Raffaele Reina

La condizione generale dell’Italia in questo tempo non prevede ottimismo, non solo per la pandemia in atto, ma soprattutto per la insufficiente azione di governo e per il disordine che vivono i partiti, tutti i partiti. I malumori, i fermenti e il malessere si avvertono ogni giorno: il Parlamento ridotto a seggio elettorale permanente, più comodo di quelli ordinari, ma con la stessa funzione, della dialettica parlamentare, figlia di dibattiti ricchi e articolati, manco l’ombra.

La vita istituzionale di un grande Paese si caratterizza per il vigore, la determinazione, l’acutezza delle proprie scelte e del proprio impegno, allo stato diventati merce rara. Una condizione del genere, figlia di tante criticità non può che sollecitare chi è fuori dai piccoli giochi di potere ad agire, a prendere iniziative, a costruire proposte come è costume, sin dall’antichità, perché si attui il bene comune.

Bisogna constatare che cattolici, popolari e liberali, intellettuali democristiani sono in questa fase particolarmente attivi nell’elaborazione di una idea nuova, fresca, moderna di partito. Insieme, nuovo soggetto politico: autonomo, di ispirazione cristiana, nato per contribuire con le proprie idee a fronteggiare il declino, che sta accompagnando la politica in questi anni procede nel suo percorso come altri organismi simili.

Si ha a che fare con sogni svaniti: il “paradiso” in terra, chiamato “globalizzazione” non c’è più. Si sono infranti miseramente contro il fragile muro innalzato da falsi profeti, ciarlatani, cialtroni. Ci si è accorti che la globalizzazione ha provocato la crescita delle ingiustizie, delle diseguaglianze, causando il diffondersi della povertà, delle emarginazioni.

Si è con prepotenza consolidata la condizione di nuovi poveri, soprattutto tra il ceto medio: la pace e il benessere conquistati dai paesi europei dopo la Seconda guerra mondiale sono diventati solo un bel ricordo. Gli enti locali, in primis i comuni, hanno perso quel vigore democratico e di autonomia, fondamentali per il buon governo delle comunità.

La politica tout court è diventata ancella servile di noti e ignoti gruppi di potere economici e finanziari, annientando le esigenze popolari e della gente comune. La parcellizzazione degli interessi sta complicando l’azione amministrativa, finalizzata a soddisfare l’interesse generale della comunità. Di fronte a tale scenario non si può rimanere inerti e silenti, i partiti politici storici che ancora considerano attuali i valori di libertà, di democrazia, di partecipazione e che nella loro esperienza, dalle origini, hanno sempre avuto bene impressa l’importanza delle “autonomie locali”, istituzioni primarie e fondamentali della nostra Repubblica, devono ritornare a determinare scelte concrete di buona amministrazione.

Si desidera dare una mano alla causa: bisogna scuotere le coscienze più avvedute per costruire su basi concrete e nuove il governo delle realtà locali, da troppo tempo tutte ripiegate su se stesse, incapaci di dare qualche segnale di rinascimento alla vita politica locale e nazionale. Lasciando da parte vecchie furbizie e logiche settarie, ma puntando su regole di democrazia interna pluralista è possibile ricostruire una forza politica moderna di ispirazione cristiana, autonoma.

È tempo di avviare riflessioni approfondite sul nuovo modo di essere della politica nel governo della cosa pubblica, incontrando donne e uomini che hanno una comune visione o che, pur non avendola, condividono i medesimi valori e proposte, non importa se non c’è totale sintonia dal punto di vista politico e programmatico. Lungo il cammino tortuoso e difficile, ad iniziare dalle priorità programmatiche, molte cose potranno essere chiarite.

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