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Perché dico no al lockdown totale. Scrive il prof. Pirro

Ma perché dovrebbe pagare ancora una volta il mondo dell’impresa e del lavoro la (purtroppo) manifesta incapacità di molte Autorità sanitarie locali a gestire con efficienza la macchina pur complessa per fronteggiare e sconfiggere la pandemia? Il commento di Federico Pirro, Università di Bari

Mentre ormai il prof. Walter Ricciardi con le sue apocalittiche esternazioni e perentorie prescrizioni dilaga inarrestabile anche nella trasmissione di Fabio Fazio di domenica scorsa e sul Messaggero di oggi – ma parla ritenendosi il ministro della Sanità? O parla a nome del ministro, quando afferma che quanto accade in questi giorni in Italia è una “tragedia annunciata” smentendo così il presidente Conte che, invece, ieri su Repubblica ha affermato il contrario?  –  le pagine dei maggiori quotidiani riportano, da un lato, lettere aperte di categorie che si ritengono pesantemente danneggiate (e poco ristorabili) dai pur necessari provvedimenti governativi e, dall’altro, notizie sui tanti lavoratori che devono ancora percepire (da mesi) la cassa integrazione dall’Inps presieduta da Pasquale Tridico.

Basterebbe così quanto riportato ieri sul Corriere della Sera e sul Messaggero per comprendere come non possano (e non debbano) essere accolte le richieste di coloro che vorrebbero un nuovo un lockdown generalizzato nel Paese che darebbe esso sì un altro colpo durissimo – ben al di là di quello del Covid-19 – all’economia italiana, devastando ancor di più vasti ceti sociali che stanno già pagando un prezzo personale altissimo per le misure adottate in varie zone del Paese decise dall’esecutivo, ma di fatto imposte dal Comitato tecnico scientifico e dall’Istituto superiore di sanità che non vorremmo fossero tentati nella circostanza da repentine vocazioni  autocratiche.

Ora intendiamoci bene: nessuno e certamente non lo scrivente sottovaluta l’estrema delicatezza della situazione pandemica e quanto si sta verificando negli ospedali del nostro Paese – nei quali peraltro andrebbe riconosciuto a medici e personale infermieristico un compenso straordinario per il loro eroico lavoro –  ma quanto abbiamo letto in un articolo come ad esempio quello di Milena Gabanelli ieri sul Corriere della Sera sulle (molto discutibili) modalità di lavoro dei medici di famiglia nell’emergenza pandemica, legittima ancora di più il dubbio sulla reale efficacia di un lockdown generalizzato che, invece, viene richiesto proprio dal presidente nazionale della Federazione degli Ordini dei medici, il barese Filippo Anelli. E, sia detto per inciso, amareggia profondamente (e indigna) che i fautori del lockdown totale (sempre ben retribuiti o con pensioni elevate) non abbiano speso (almeno sinora) una sola parola di umana solidarietà – vedi l’intervista di oggi di Walter Ricciardi sul Messaggero – verso tanta povera gente che sta già pagando drammaticamente le chiusure sinora disposte, e le cui prospettive di (pura) sopravvivenza sono ormai affidate alle mani (generosissime) delle tante Caritas provinciali.

Si afferma inoltre – solo per fare un altro esempio – che mancherebbero gli infermieri: ma sono state realmente esaminate le liste dei centri per l’impiego di tutte le province italiane e delle sedi di decine di Agenzie per il lavoro interinale, verificando (accuratamente) quanti ne siano iscritti ad esse? Ancora: i paucisintomatici perché finiscono con l’essere il più delle volte ricoverati in ospedale intasandone i posti letto da destinarsi invece ai casi più gravi? I medici di famiglia e le Asl con i loro uffici preposti non riescono proprio a gestire tali pazienti con il monitoraggio ed un’assistenza telefonica almeno giornaliera, accurata, capillare e qualificata, che anche in un passato recente più volte si è detto dalle Autorità sanitarie di voler assicurare? E le tanto citate Usca – Unità sanitarie di continuità assistenziali, perché sono ancora così poche in diverse regioni, che solo ora, ma con grande fatica, ne starebbero aumentando il numero?  E gli ospedali militari in esercizio o ripristinabili – come, lo ripetiamo, quello imponente di Bari ma inutilizzato da anni – sono utilizzati, pur nel rispetto delle esigenze delle Forze armate?

Ora, è del tutto evidente che bisognerebbe abbassare subito e drasticamente la curva dei contagi, ma questo si otterrebbe chiudendo la gente in casa ove quelli intrafamiliari sono tanto più diffusi quanto più disagevoli sono le condizioni abitative di milioni di italiani? Nei tanti quartieri popolari delle città, nelle loro grandi e degradate periferie non si rischierebbe così di ottenere l’effetto contrario? Ma qualcuno degli epidemiologi ha forse dimenticato (o non ha mai saputo) che proprio di recente è stato pubblicato il bando riservato agli Enti locali per accedere ai fondi per la rigenerazione urbana di vaste aree degradate di Città metropolitane e di Comuni da 60mila abitanti in su?

E poi il pieno ed integrale rispetto delle misure di protezione adottate – uso delle mascherine (senza se e senza ma), distanziamento fisico (reale e non declamato), divieto (tassativo) di assembramenti – deve essere reale e fatto rispettare molto severamente da parte di chi dovrebbe imporlo. Semplici informazioni ai cittadini renitenti, comprensione e blandi ammonimenti da parte delle forze dell’ordine sui provvedimenti adottati non bastano più: se del caso, allora, si adotti il pugno di ferro contro l’incoscienza di molti che può produrre lutti fra i contagiati più fragili.

Ma perché dovrebbe pagare ancora una volta il mondo dell’impresa e del lavoro la (purtroppo) manifesta incapacità di molte Autorità sanitarie locali a gestire con efficienza la macchina pur complessa per fronteggiare e sconfiggere la pandemia?

 

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