Siamo di fronte ad una gigantesca prova di irresponsabilità. È come se la maggior parte della gente non si rendesse conto che siamo in guerra, una guerra impari, combattuta finora a mani quasi nude e grazie soltanto all’abnegazione di un personale sanitario di prim’ordine. Ne eravamo usciti bene a maggio, al contrario oggi stiamo attraversando malissimo la nuova ondata. La riflessione di Gennaro Malgieri
Il lockdown è una sconfitta per la comunità nazionale, per i singoli individui, per il carattere degli italiani. Ne eravamo usciti bene a maggio scorso dalla prima improvvisa e drammatica fase, dopo aver retto duramente all’aggressione del coronavirus. Al contrario, oggi stiamo attraversando malissimo la nuova ondata.
Siamo di fronte ad una gigantesca prova di irresponsabilità che ci lascia sconcertati. È come se la maggior parte della gente non si rendesse conto che siamo in guerra, una guerra impari, combattuta finora a mani quasi nude e grazie soltanto all’abnegazione di un personale sanitario di prim’ordine.
Ritenevamo che dopo la dissennata estate ci si rifugiasse nella consapevolezza, invece niente. Cittadini di ogni condizione. Sciamano lungo la penisola come se nulla stesse accadendo intorno a loro nelle strade e nelle piazze assolate in questo novembre mite come non mai, tanto da somigliare ad un mese primaverile. Non si accorgono delle lunghe code di ambulanze agli ingressi degli ospedali, alle richieste di soccorso che provengono da ogni dove, alle teorie infinite di gente che attende ore ed ore per fare un tampone ed ancora di più per ottenere il risultato. Si disperano i vecchi, sono isolati i malati che soffrono di altre patologie. In tante famiglie c’è un clima tetro, luttuoso. E intanto nei quartieri bene e sul lungomare di Napoli, sotto i portici a Bologna e nelle strade centrali di Palermo, sulle spiagge siciliane, liguri e laziali, adriatiche assistiamo ad una calca demenziale nei fine settimana soprattutto di individui che incuranti del virus, perlopiù senza mascherine, sembrano in preda ad una frenesia incontenibile, incuranti delle conseguenze.
E le conseguenze sono i bollettini allucinanti che nel pomeriggio vengono diramati: contagiati e morti giorno dopo giorno intasano gli ospedali, riempiono le bare. Nel Veneto come in Puglia, nelle Regioni gialle e arancioni, e dove e come si può perfino in quelle rosse, non si rinuncia alla passeggiata, allo shopping, all’aperitivo. Nessuno sembra voglia starsene in casa ed uscire quando proprio non se ne può fare a meno.
Il virus è potente, ma in Cina dove è nato e da dove si è diffuso, a Hong Kong, a Taiwan, a Singapore, in quasi tutta l’Australia è stato battuto o, comunque, messo in condizione di non nuocere più di tanto, dal rigore personale, oltre che dalle disposizioni dei governi, adottato per proteggersi e proteggere dalla sua aggressione.
Non ci sono farmaci che possano debellarlo, non è ancora pronto il vaccino, anche se è in stato avanzato il completamento della sua sperimentazione, non ci sono ricette miracolistiche e neppure nei nosocomi si fanno prodigi: il solo antidoto alla pandemia è starsene in casa. Lontani dagli altri e se ne vadano a farsi friggere le relazioni sociali e quel disperato senso di libertà che, guarda caso, scopriamo quando non ce n’è bisogno.
La virologa Ilaria Capua ha confessato in tv, nella trasmissione “Dimartedì”, di essere in lockdown “da quando sono tornata dall’Italia. Non esco mai di casa, mai”. Ed ha aggiunto: “Dovrebbe esserci una specie di lockdown volontario, per chi può, come quando c’è un uragano e ci si prepara con dei piani di evacuazione, questo é il momento di capire che servono piani anche per il Covid, che sono urgenti e vanno condivisi su basi scientifiche”.
Se adesso grandina, ha fatto capire la scienziata, bisogna stare protetti. Siamo al punto di non poterci più permettere divagazioni e distrazioni, men che meno leggerezze nell’affrontare il coronavirus.
Sembra che far capire una tale semplice verità ai nostri connazionali, sia come spiegare misteri arcani, o più semplicemente formule algebriche. È quasi impossibile credere che adulti e giovanotti e adolescenti continuino a praticare assembramenti ed uscite “fuori ordinanza”. Ed è per questo che nel giro di qualche giorno si dovrà procedere alla chiusura di ogni luogo, al restringimento ulteriore delle libertà personali.
La vita, la salute, anche a chi non gliene importa niente, vengono comunque prima di svaghi e profitto. Di coronavirus si può certamente morire, di fame non morirà certamente nessuno. Comprendiamo il disagio, non la dissennatezza. È tanto difficile che questo Paese rinunci per qualche settimana o qualche mese a guardare l’autunno e poi l’inverno da dietro i vetri delle finestre?