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Putin perde la Moldavia (e l’influenza nell’area ex sovietica cala)

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L’ultima repubblica, in ordine di tempo, ad aver voltato le spalle alla Madre Russia, è la piccola repubblica di Moldova, uno dei Paesi più poveri del Vecchio continente, perennemente in bilico fra l’Est, inteso come quel che resta dell’ex blocco comunista, e l’Ovest. Questa volta, a sorpresa, l’ha spuntata il secondo. L’approfondimento di Marta Ottaviani

Il presidente russo, Vladimir Putin, si ricorderà il 2020 come l’anno in cui l’influenza di Mosca sul blocco delle repubbliche ex-sovietiche ha subito un drastico calo. Quasi un punto di non ritorno, con altre potenze interessate a colmare il vuoto lasciato (suo malgrado) dalla Russia ed equilibri geopolitici che cambiano, sostanzialmente, per il momento nell’inattività di Bruxelles, che non sembra ancora cogliere appieno le opportunità che possono arrivare dai mutamenti in corso nelle società di questi Paesi, ormai nemmeno più tanto sottotraccia.

L’ultima repubblica, in ordine di tempo, ad aver voltato le spalle alla Madre Russia, è la piccola repubblica di Moldova, uno dei Paesi più poveri del Vecchio Continente, perennemente in bilico fra l’Est, inteso come quel che resta dell’ex blocco comunista, e l’Ovest. Questa volta, a sorpresa, l’ha spuntata il secondo. Maia Sandu (nella foto), ex primo ministro e filoeuropea, ha vinto, e di parecchio, contro Igor Dodon, il candidato appoggiato da Mosca e grande favorito della vigilia, al quale, a fronte di 57,3% contro 42,75% non è rimasto altro che concedere la vittoria, seppure a denti stretti.

Da agosto in poi, fra le notizie nefaste riguardanti la pandemia da Covid-19 e quelle che arrivavano da Minsk e dall’Asia Centrale, il presidente Putin se l’è passata piuttosto male.

Il caso più celebre e noto all’opinione pubblica, è certo quello della Bielorussia. La contestata vittoria del presidente Aleksandr Lukashenko, lo scorso 9 agosto, continua a dividere il Paese fra chi, la maggior parte, lo accusa di aver scandalosamente rubato le elezioni e aver impedito di candidarsi a tutti i concorrenti più pericolosi e i pochi che lo sostengono. Quella di Minsk, nonostante i richiami a una maggiore libertà e al rispetto dei diritti fondamentali, non è una piazza che guarda necessariamente all’Europa, tutt’altro. Ma è anche vero che l’influenza diretta di Mosca nelle vicende nazionali è gradita solo fino a un certo punto, tanto che Vladimir Putin per primo, nelle settimane precedenti il voto e durante le fasi più calde della rivolta, è stato molto cauto nel prendere le parti di Lukashenko. Inviti all’Europa a farsi gli affari propri, però, li ha mandati eccome, segno che Mosca non vuole perdere il rapporto privilegiato con un Paese importante dal punto di vista economico e strategico.

In ottobre si sono tenute le elezioni parlamentari in Kirghizistan, ma il successo dei filorussi è piaciuto poco alla folla, che da quel momento sta scendendo ripetutamente in piazza nonostante l’esito elettorale sia stato annullato, il presidente della Repubblica, il filorusso Sooronbay Jeenbekov, si sia dimesso e siano stati convocati nuovi comizi il prossimo 20 dicembre. Il risultato è che in questo momento, la Repubblica dell’Asia Centrale, una zona nevralgica, dove interessi russi e cinesi si scontrano di continuo, è in piedi grazie a un governo provvisorio guidato da Sadyr Japarov, che ha parlato della “necessità di cambiare cultura politica nel Paese, ed elezioni parlamentari e presidenziali da rifare”.

Ma la Russia ha visto diminuire la sua influenza anche in una zona dove da sempre rappresentava l’unico interlocutore possibile: il Caucaso. A guerra-lampo fra Azerbaigian e Armenia sulla ormai annosa questione del Nagorno-Karabakh, ha portato a un accordo mediato dalla Russia, che rappresenta un successo indiscutibile per Baku. Il problema per Mosca è che nell’area adesso gravita pure la Turchia, determinata a ad allargare la propria sfera di influenza nella regione. Il programma piace poco al Cremlino, che sta cercando di limitare Ankara in tutti i modi. Ma è un fatto: Mosca non ha più il potere incontrastato sugli ex territori sovietici di una volta.

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