L’economista e deputato dem: il Recovery Fund è molto più di un piano di aiuti, è la base dell’unione fiscale che manca. Se Budapest e Varsavia vogliono fermare il bilancio, escano dal gioco ma non impediscano a chi crede nel sogno europeo di raggiungere l’integrazione su tasse e debito e di ottenere gli aiuti. Cancellare il debito pandemico italiano? Tutto si può fare, ma vanno ridiscussi i trattati. L’Europa è pronta?
Chi c’è c’è e chi non c’è, tanti saluti. E l’Europa se ne farà una ragione. Il giorno dopo la clamorosa entrata a gamba tesa di Ungheria e Polonia sul bilancio europeo (qui l’articolo di Formiche.net con tutti i dettagli) un brivido corre lungo il Vecchio Continente. 750 miliardi di aiuti sono a rischio, perché senza il via libera di Budapest e Varsavia (che non accettano di subordinare il rispetto dello Stato di diritto all’erogazione dei fondi) sarà impossibile approvare il bilancio pluriennale dell’Unione cui il Recovery è legato a doppio filo. Mesi di confronti, nottate di colloqui, buttati a mare, senza che Paesi devastati dalla pandemia ricevano quanto promesso (proprio oggi l’Italia ha ottenuto altri 6,5 miliardi dall’Ue per il fondo anti-disoccupazione Sure)? Assolutamente no, dice Tommaso Nannicini, economista, deputato Pd e a lungo consigliere dell’ex premier Matteo Renzi.
Nannicini ha una sua proposta, arrivata di buon mattina con un tweet. “Patti chiari amicizia lunga. Con Ungheria e Polonia non servono compromessi ma scelte nette. Chi blocca il bilancio Ue per negare diritti fondamentali stia fuori dai fondi europei, tutti. Gli altri vadano avanti per costruire un’Europa politica, bandiera dell’Unione europea che non sia solo mercato unico”.
Nannicini, quanto è grave lo stop di due Paesi dell’Unione al bilancio della stessa, in un momento come questo?
A essere onesti la posta in gioco è alta anche per quei Paesi che hanno posto il veto, che sono beneficiari netti non solo delle risorse del Recovery ma anche delle risorse pregresse. Questo mi fa pensare a una minaccia in fin dei conti poco credibile da parte di Ungheria e Polonia e proprio perché non mi pare credibile, non comprenderei timidezza da parte degli altri Paesi al tavolo. Non vedo motivi per cercare compromessi che possano annacquare il piano.
L’Italia rischia grosso. Il governo ha costruito parte della sua strategia sul Recovery e poi non dimentichiamoci che c’è un debito pubblico da sostenere…
Non c’è dubbio, per l’Italia è fondamentale l’opportunità del Recovery Fund. Però, vede, qui la questione è un’altra. Il Recovery Fund deve essere l’embrione dell’Unione fiscale, che completa l’Unione monetaria e con cui la smettiamo di lasciare la Bce da sola quando c’è da rispondere a una crisi.
Lei ha fatto una proposta. Se qualche Paese vuol mettersi di traverso sul bilancio, allora si assuma le sue responsabilità e rinunci ai fondi, ma senza impedire agli altri di farne a meno. Potrebbe funzionare…o no?
Proprio perché vedo nel Recovery Fund le basi per l’Unione fiscale che manca, non credo che tale progetto di integrazione vada per forza fatto con tutti i Paesi dentro. Stiamo parlando di scelte profonde, politiche. Non tutti i Paesi dell’Unione europea sono nell’Unione monetaria e allora non capisco perché tutti debbano per forza avere una politica economica comune. Se qualcuno vuole solo un mercato unico, ma non tasse e debiti in comune, lo dica. Ma basta che non impedisca agli altri di fare questo salto politico. Tasse e debito sono il cuore della sovranità, se Ungheria e Polonia non vogliono far parte di questo processo d’integrazione va bene, basta che non pretendano di lucrarne comunque i benefici e non impediscano agli altri di andare avanti.
Nannicini, in questi giorni si parla molto di debito pubblico italiano. Il Movimento Cinque Stelle punta a far passare una richiesta per una clausola che sterilizzi il debito accumulato per far fronte alla pandemia. Lei che ne pensa?
Innanzitutto bisogna capire che cosa vogliamo dire con la parola sterilizzazione. Negli anni ‘80 andava di moda immaginare di poter cancellare i debiti dei Paesi in via di sviluppo, ma quelli erano debiti tra Stati o verso organizzazioni internazionali. Qui parliamo di debiti detenuti da famiglie e investitori istituzionali, cancellarlo equivale al default. L’unica possibilità sarebbe monetizzarne una parte, per esempio con una politica monetaria che si fa compratore di ultima istanza e usa anche la leva inflazionistica. Ma questa è una discussione che investe i Trattati, il mandato della Bce e l’Europa che abbiamo in mente.
E allora?
Non è facile, ma tutto il resto sono solo slogan. Parlare di sterilizzazione del debito senza cambiare le istituzioni europee è come parlare del nulla.
Il dibattito sul Mes è ormai stancante. Possibile che in piena emergenza non abbiamo ancora chiesto questi benedetti 36 miliardi?
Stancante è dire poco. Ma quei soldi servono adesso, abbiamo bisogno di soldi per la sanità. Quello che dà speranza alle persone è la vaccinazione e non tanto il vaccino. E per fare una vaccinazione di massa servono investimenti, anche nella medicina territoriale oltre che nelle infrastrutture. Non usare quei soldi è un errore. Punto.