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Nazareno bis? No, piano Ursula. Borghi (Pd) legge le larghe intese

Da Bruxelles a Roma, l’intesa con Silvio Berlusconi sull’emergenza economica e sanitaria non è che la riedizione del piano Ursula che un anno fa ha emarginato i sovranisti in Ue, spiega il deputato del Pd e componente del Copasir Enrico Borghi. Avanti con i Cinque Stelle e Conte, ma senza strappi e volate, come sulla fondazione cyber

Se ha funzionato in Europa, perché non riproporlo in Italia? Enrico Borghi, deputato del Pd e componente del Copasir, prima linea dell’area riformista al Nazareno, si dice fiducioso: c’è spazio per una riedizione del piano Ursula anche a Roma. Con Silvio Berlusconi si può siglare un patto sull’emergenza, non bisogna per forza infoltire i ranghi della maggioranza. Che, garantisce lui, andrà avanti, a condizione che si marci tutti insieme, senza strappi né fughe improvvise. Come quella di Giuseppe Conte sulla fondazione cyber del Dis.

Borghi, lei ci mette una firma sul Patto del Nazareno bis?

No, nessun patto. Restiamo nel merito. Le questioni poste da Berlusconi riflettono in parte l’agenda di politica economica del Pd. Gli autonomi sono il vero tema della coesione sociale. Stanno alla crisi di oggi come la classe operaia stava alla crisi degli anni ’70. Qui si rischia di creare una cesura fra i garantiti del 27 (del mese, ndr) e chi sta scivolando verso l’impoverimento.

Bene. Ma c’è spazio per allargare la maggioranza?

Hanno messo loro i paletti, quindi direi di no. Se vogliono discuterne sanno dove trovarci.

Vi fidate di Berlusconi o pensate abbia un occhio al Quirinale?

Non esistono le condizioni per una sua salita al Colle, è il primo a saperlo. Berlusconi è il rappresentante in Italia del Ppe. In Europa c’è un consolidato rapporto fra democratici, riformisti e popolari. Non vedo perché non possa esserci qui.

Insomma, una riedizione del patto Ursula.

Se vogliamo metterla così. Io dico che se son rose fioriranno. Non vedo scandali se sulle priorità per il Paese in un momento di crisi si può andare oltre il perimetro dell’attuale maggioranza.

Sullo sfondo la partita per difendere Mediaset. Come va a finire?

Ci sono due esiti possibili. Si può continuare con la politica del cerotto messa in campo con l’emendamento di Patuanelli. Oppure si può fare un ragionamento sistemico. Inutile girarci intorno: la legge Gasparri risponde a un mondo che non esiste più.

Quindi?

Quindi bisogna concordare un assetto che non si limiti alla logica del tappa-buchi e nemmeno allo status quo. La priorità ovviamente è evitare che grandi aziende italiane trasmigrino da un giorno all’altro fuori dai confini nazionali. Lo stesso allarme che abbiamo lanciato con la recente relazione del Copasir. E oggi, alla luce dell’Opa di Credite Agricole su Credito Valtellinese, saluto chi ci ha detto che abbiamo preso un abbaglio.

Dal centrodestra dicono che volete solo dividerli. Che ne pensa della federazione lanciata da Salvini?

Scelgano loro. Se il centrodestra vorrà evolversi nell’anfiteatro del sovranismo e delle estreme ne prenderemo atto. Oggi la Lega al Parlamento europei sta con Le Pen. Gli altri sono avvisati.

Gli Stati generali del Movimento Cinque Stelle si sono chiusi con un’indicazione di massima a favore dell’alleanza organica con il Pd. Si può fare?

La scelta dei Cinque Stelle è stata molto manzoniana, Adelante, Pedro, cum juicio. Un anno fa abbiamo dato vita a questa coalizione e rimaniamo coerenti alla nostra scelta. Non si capisce però perché si governa a Roma e si continua a combattere sui territori.

A Roma solo in senso figurato. Per le comunali non c’è ancora l’ombra di un nome comune.

Siamo ancora alla fase dei tatticismi, non c’è da sorprendersi. Finché i Cinque Stelle si fanno avanti con proposte “contro” e non “pro” lo stallo continua. Se si trova un nome dialogante si va avanti, altrimenti si farà come in Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Puglia.

Rimpasto è ancora una parola tabù?

Non è sul tavolo ora.

Molti suoi colleghi la pensano diversamente.

Io mi astengo dal totonomi. Siamo nel mezzo di una pandemia, invece di scaricare su Roma il peso delle decisioni, come fanno alcuni governatori di centrodestra, bisogna remare insieme per la ripartenza del Paese.

Si può remare più veloce? La tabella di marcia del Next generation Eu vede l’Italia un po’ in ritardo.

Non sono d’accordo. Il Parlamento italiano è arrivato prima del Consiglio europeo. Abbiamo già dato indirizzi di massima su cui il ministro Amendola sta proficuamente lavorando all’interno del Ciae. L’idea è quella di un modello mediano fra quello di Invitalia e quello dei fondi di coesione, che porta a non spendere i soldi europei.

Una parte di quei fondi andrà spesa in cybersecurity. A questo puntava l’Istituto italiano di cybersicurezza (Iic) che è stato depennato dalla manovra.

Ecco, spendo una parola su questo. Noi non siamo contro la cybersecurity. Siamo contro l’idea di farla male. Se se ne deve occupare l’intelligence bisogna riformare la legge 124 sul comparto. Se Palazzo Chigi pensa sia così importante, se ne assuma la responsabilità e indichi un percorso condiviso, senza fughe in avanti. Non vorrei che qualcuno si sia preoccupato di informare prima le opposizioni della sua maggioranza.

Chiudiamo sul Mes. Quanto ancora potete rimandare una decisione?

Non si può rimandare. I Cinque stelle si convincano che il Mes oggi non è quello di ieri. Sono 36 miliardi di euro, senza condizionalità. Il ministro Speranza deve fare quello che gli ha chiesto il Parlamento: predisporre un piano per il potenziamento della rete sanitaria del Paese, per la medicina territoriale e di prossimità e gli ospedali.

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