Il caso del golden power sul fondo americano Kkr nella rete unica dimostra che il governo continua a ondeggiare fra Cina e Usa nella Guerra fredda tech. Dal 5G all’IA, il presidente del Centro economia digitale Rosario Cerra spiega perché presto servirà una scelta di campo (con l’Ue)
Inutile girarci intorno. La “via mediana” nella Guerra fredda tecnologica fra Cina e Stati Uniti non esiste. O se esiste, è un vicolo stretto e angusto. Per Rosario Cerra, economista, fondatore e presidente del Centro economia digitale (Ced), una soluzione c’è, e si può trovare più a Bruxelles che a Roma. Ma sovranità tecnologica significa anche “saper scegliere da quale parte stare”. E quelle prescrizioni del comitato golden power sul fondo americano Kkr in Fibercop sembrano indicare un approccio opposto.
Cerra, semaforo verde per Kkr nella rete unica. O quasi.
È un sostanziale via libera all’operazione. Però sul piano delle relazioni con gli Stati Uniti quelle prescrizioni non sono indifferenti. Il dato politico è uno solo.
Quale?
L’Italia continua a ondeggiare fra l’Occidente liberale e le democrature. Il governo non ha applicato il bando contro Huawei nel 5G e ha pubblicato prescrizioni, ancorché blande, a una realtà americana quasi-istituzionale, visti i suoi investimenti infrastrutturali.
Un peso, una misura.
E non riguarda solo la rete unica, ma anche il cloud e la rete 5G. Il problema è a monte. Manca una definizione di cosa sia la sovranità digitale. Un criterio per chiarire quali partnership sono strategiche e quali no.
Palla a Bruxelles?
La palla è sempre stata lì. Se non ci mettiamo in condizione di fare una scelta di campo rimarremo spettatori inerti della Guerra fredda digitale fra Cina e Stati Uniti.
Come se ne esce?
Il percorso avviato dalla Commissione Ue per la sovranità tecnologica è quello giusto, l’Italia purtroppo resta un passo indietro. Sovranità significa, anzitutto, evitare di trattare nello stesso modo un partner che dà garanzie strutturali legate alla gestione dei dati rispetto e chi invece non si pone il problema.
I rapporti fra le big tech Usa e l’Ue però non sono idilliaci. Con Joe Biden alla Casa Bianca le tensioni aumenteranno?
È lecito dubitare di una svolta imminente. Nessuno è così ingenuo da pensare che Biden spingerà le aziende della Silicon Valley a pagare più tasse in Europa. Ma è anche vero che in questi anni i due fronti si sono molto avvicinati.
Da dove si riparte?
Due i punti di contatto. Il rapporto con la Cina e l’antitrust. Negli anni anche gli Stati Uniti si sono resi conto che le big tech hanno creato un monopolio complesso. Ci sono studi del Dipartimento di Giustizia americano che parlano di un accentramento di potere rischioso.
Non ci stiamo dimenticando il fisco?
Ovviamente no. Gli Stati Uniti spingono per una tassazione sui ricavi, l’Ue vorrebbe trasferirle sul luogo dove avvengono le transazioni. C’è spazio per avvicinarsi. Gli Usa devono capire che il digitale ha cambiato per sempre il sistema di business e le sue tre componenti principali, il commercio, il prodotto e la struttura. Più ostica la questione dei dati che tocca la sicurezza nazionale. L’Europa non vuole trasferire i dati dei suoi cittadini oltreoceano. Gli Usa vogliono avere accesso ai database delle loro società.
Sull’Intelligenza artificiale (IA) c’è possibilità di cooperare?
Ci stiamo già muovendo verso una regolamentazione dell’IA. Gli Stati Uniti ritengono sia troppo presto, perché la considerano una tecnologia emergente. Con Biden si aprirà una finestra negoziale con l’Ue.
A Washington DC ci sono esperti che discutono di un “Digital Marshall Plan” fra Europa e Usa per contenere la corsa tecnologica cinese. È realistico?
In teoria sì, in pratica bisogna far collimare tanti interessi. L’Europa parte in svantaggio rispetto a Cina e Usa. Deve colmare il gap sull’IA, che è la tecnologia più impattante sull’economia, l’occupazione, la società. E se finisce in mani sbagliate può diventare un fattore abilitante per le dittature. L’altro fronte su cui accelerare è quello delle biotecnologie.
Ovvero?
Nuovi medicinali che operano in maniera mirata. Operazioni a distanza. C’è una rivoluzione in corso nel mondo della medicina. Anche quella è una corsa, ci saranno vincitori e vinti.
Infine il 5G. Si parla spesso del vantaggio di Huawei sul mercato. Cosa si può fare per recuperare il gap?
Ci sono due modi. Uno è rendere completamente aperta la tecnologia 5G, l’O-Ran. Cioè consentire a tutti di lavorare con un approccio modulare e non più proprietario. L’altro è più complesso. Partendo dal Recovery Fund, l’Ue dovrebbe favorire la cooperazione fra Stati membri nella manifattura tech innovativa. I fondi ci sono, speriamo anche la volontà.