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Il papa tra mercati e partiti. La riflessione di Rocco D’Ambrosio

Le parole di papa Francesco, come sempre, giungono chiare ed efficaci e “scoprono” una realtà purtroppo presente in molte fasi storiche della Chiesa cattolica. Non esiste progetto di riforma istituzionale, nella Chiesa come nel mondo, che non sia legato alla persona che lo pensa, lo introduce e lo realizza, certamente non da solo, ma insieme agli altri, con tutto il carico fisico, emotivo e intellettuale che una riforma comporta

“La Chiesa non è un mercato – ha affermato il papa all’udienza di oggi – la Chiesa non è un gruppo di imprenditori che vanno avanti con questa impresa nuova. La Chiesa è opera dello Spirito Santo… (…). È Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere. È la parola di Gesù che riempie di senso i nostri sforzi. È nell’umiltà che si costruisce il futuro del mondo. A volte, sento una grande tristezza quando vedo qualche comunità che, con buona volontà, sbaglia la strada perché pensa di fare la Chiesa in raduni, come se fosse un partito politico: la maggioranza, la minoranza, cosa pensa questo, quello, l’altro…” (Udienza del 25.11.2020).

Le parole di papa Francesco, come sempre, giungono chiare ed efficaci e “scoprono” una realtà purtroppo presente in molte fasi storiche della Chiesa cattolica. Non esiste progetto di riforma istituzionale, nella Chiesa come nel mondo, che non sia legato alla persona che lo pensa, lo introduce e lo realizza, certamente non da solo, ma insieme agli altri, con tutto il carico fisico, emotivo e intellettuale che una riforma comporta.

Qui si insinua la prima trappola (tipica del primo gruppo degli entusiasti): la notorietà del leader potrebbe far passare in secondo piano quello che dice e che vuole realizzare. Un po’ scatta una dinamica da concerto: mi piace più il cantante della canzone e la mia attenzione è, di conseguenza, più verso il cantante che verso la canzone. Tutto ciò porta a quell’atteggiamento adolescenziale per cui delle canzoni si ricorda ben poco, ma del cantante, ovvero delle emozioni che mi ha suscitato, si hanno precisi e profondi ricordi. Il dato emotivo finisce così per sovrastare e assorbire quello cognitivo. Saggezza vuole che emozioni e cognizioni vadano sempre integrate e governate o, in termini cristiani, sottoposte a discernimento.

Papa Francesco sembra essere ben cosciente di questo rischio relativo all’accoglienza della sua persona. In un’intervista egli afferma: “Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale” (Corriere della sera, 5.3.2014). Si aiuta il papa nel suo ruolo nella misura in cui si evitano fanatismo e mitizzazione e ci si concentra più su quello che dice e fa, e meno su quello che è.

Al versante opposto, in maniera speculare, esistono coloro che non lo accettano e, spesso, lo denigrano. Basterebbe solo ricordare gli aggettivi che gli riservano: comunista, pauperista, debole dottrinalmente, distruttore della Chiesa, eretico, ecologista, non rispettoso della tradizione, contrario alla morale cattolica sulla famiglia, inopportuno nel vestiario, esagerato in alcuni gesti, gesuita che vuole fare il francescano, troppo mediatico e plateale, imprudente, eccessivamente semplice, poco diplomatico e così via. Il tutto è sopportato da una potenza mediatica (web, giornali, radio e TV) che impiega ingenti risorse; non a caso molti oppositori appartengo a compagini di ricchi finanzieri e imprenditori. In questi interventi sorprendono due aspetti:

1. molte volte le critiche feroci provengono da coloro che, con altri papi, si consideravano fedelissimi al sommo pontefice e ora sembrano aver smarrito la tanto esaltata fedeltà e obbedienza. In alcuni casi si tratta di cardinali, vescovi, preti e fedeli laici che – prescindendo da prescrizioni meramente legali – dimostrano nei fatti di essere fuori dalla comunione ecclesiale. Basta notare il fatto che non rispettano i vincoli di segretezza e riservatezza su alcune questioni delicate; a leggerli si nota come amano più se stessi che la comunità cristiana; sono presi dalla smania di twittare quanto prima i loro scoop. Potrebbero chiedere udienza al papa o ai suoi delegati preposti per affrontare i problemi. Il loro modo di fare appare moralmente riprovevole e dannoso quasi quanto coloro che usano strumenti anonimi al solo scopo di diffamare gli altri.

2. Lo schema dei ragionamenti degli oppositori accaniti risente molto delle prassi dei regimi ideologici: la dottrina-tradizione non si tocca, chi la tocca è un eretico, su di esse non si possono fare domande, né tanto meno ricerca filosofica e teologica, il compito del papa e dei pastori è solo quello di ripeterla e affermarla sempre e comunque identica a se stessa. Sembrerebbe, inoltre, che l’accusa di tradimento dottrinale (fatta al papa) nasconda, molte volte, il rifiuto di riflettere di approfondire e di attualizzare il messaggio evangelico, forse con lo scopo di distogliere l’attenzione, sui suoi interventi in materia di pedofilia, potere malsano e corruzione.

Esiste anche un terzo gruppo, che si potrebbe definire quello del né pro – né contro Francesco. Sembrano essere favorevoli alla linea conciliare del papa, tuttavia si guardano bene dal dirlo pubblicamente; anzi gradiscono che si parli il meno possibile di papa Bergoglio. Il pontefice piace per alcune cose, tuttavia infastidisce, a detta loro, per altre, come il suo stile e la sua franchezza, considerate poco diplomatiche; un esagerato riferimento alle questioni sociali e alla povertà e così via. In sintesi il papa piace loro, ma non abbastanza da dirlo pubblicamente, non tanto da coinvolgersi nel suo progetto di riforma. Molto in questo gruppo è avvolto nell’ambiguità e ipocrisia.

Questi gruppi, purtroppo, esistono. Sono dei partiti? No perché non sono strutturati e organizzati, non sono capaci di elaborare teorie a prescindere da quelle ufficiali. Si dovrebbe parlare di essi più come tendenze antropologiche ed etiche, presenti in tutte le istituzioni, che riguardano singole persone che, in alcuni casi, si aggregano. In altri termini diventano gruppo in precisi momenti e contesti, normalmente con leadership deboli e con progetti e attività più di corto raggio temporale che lungo. E soprattutto non seguono uno stile ecclesiale, che è fondato sull’ascolto della Parola, “custodia della comunione ecclesiale, frazione del pane e preghiera” (Udienza del 25.11.2020).

Se lo seguissero contribuirebbero al dibattito istituzionale, in maniera sana, fondata e costruttiva. Invece operano in maniera latente e non favoriscono un sano dialogo. A queste divisioni e opposizioni tra gruppi, Francesco sembra rispondere così: “E tutto quello che cresce fuori da queste coordinate è privo di fondamento, è come una casa costruita sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27). È Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere. È la parola di Gesù che riempie di senso i nostri sforzi. È nell’umiltà che si costruisce il futuro del mondo”.

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