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Di Maio, il Patriot Act e la lotta al terrorismo

Cresce l’allarme per gli attentati che nelle ultime settimane hanno insanguinato il nostro continente. L’ipotesi di un Patriot Act europeo basato sul modello americano annunciato dal ministro degli Esteri fu introdotto negli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre. È davvero una strada possibile?

L’attentato di Vienna ha messo definitivamente in allarme le polizie e le agenzie di intelligence occidentali: tutta l’Europa è di nuovo potenzialmente in pericolo e non solo la Francia, finora al centro dell’attenzione per le vignette di Charlie Hebdo, i morti e le polemiche con la Turchia.

DI MAIO E IL PATRIOT ACT

Il ministro degli Esteri ha buttato un macigno nello stagno lanciando l’ipotesi di un Patriot Act europeo basato sul modello americano e annunciando che ne discuterà con gli omologhi europei. Il Patriot Act fu introdotto negli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre e in sintesi ha aumentato il potere investigativo diminuendo la privacy dei cittadini, con una maggiore facilità di intercettare e di accedere ai dati personali. La cultura giuridica europea è diversa da quella americana e l’argomento è molto delicato: basti ricordare le polemiche sul Pnr, il Passenger name record, cioè la registrazione dei dati di ogni passeggero che avesse acquistato un biglietto aereo, poi approvato dal Consiglio europeo dopo gli attentati di Parigi del novembre 2015.

Luigi Di Maio paragona il federalismo statunitense al concetto che “la sicurezza di uno Stato equivale alla sicurezza di tutti gli altri”, dunque la necessità di fare il possibile per prevenire altre tragedie perché i terroristi di Nizza o di Vienna “avrebbero potuto colpire anche in Italia”. Sembra però difficile che in Europa si possa arrivare a limitare fortemente i diritti personali e, forse, maggiori investimenti per intensificare il controllo del web sarebbero più realistici. Inoltre, sembrava finalmente accantonata l’idea di un’intelligence unica europea per il banale motivo che nessuno condividerebbe le informazioni più riservate. Quindi sembra generica, oltre che inattuabile, la proposta di Maria Stella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera, di un “nucleo di intelligence europeo contro il terrorismo nel quale le intelligence dei singoli Stati condividano le informazioni e le strategie”. Maurizio Gasparri, anche lui di Forza Italia, va oltre e propone una Guantanamo europea dove rinchiudere i potenziali terroristi: con quale accusa specifica e per quanto tempo non si sa. La collaborazione tra Servizi e strutture antiterrorismo c’è, anche se tutto è migliorabile.

I RISCHI LEGATI ALL’IMMIGRAZIONE

In un lungo post su Facebook Di Maio, e non è la prima volta, invita alla prudenza: “Dobbiamo alzare l’attenzione sui flussi migratori illegali come sta giustamente facendo il Viminale. Rappresentano un rischio, serve realismo”. Assist colto al volo da Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera ed esponente di Fratelli d’Italia, che gli ricorda la sottoscrizione dei decreti sicurezza all’epoca del governo con la Lega e la modifica degli stessi con l’attuale governo. Ma il ministro degli Esteri insiste: “Bisogna stringere i controlli nelle moschee con la collaborazione delle stesse comunità islamiche e dell’Islam moderato” e sugli stranieri che arrivano scrive che “se un Paese non ha le risorse per poter assistere, allora non può accogliere, altrimenti l’esito è un’esasperazione dell’emarginazione sociale. Stiamo male noi e stanno male loro. Queste sono verità”. A conferma che nel governo i mal di pancia sulle modifiche ai decreti sicurezza non sono passati, Di Maio aggiunge che “difendere i propri confini è il dovere di ogni Stato, oltre che un diritto. Il diritto di ogni cittadino di sentirsi sicuro in casa propria”. Parole che Matteo Salvini potrebbe sottoscrivere anche se il ministro prova a prendere le distanze spiegando che “con questo non vanno in alcun modo giustificati gli accenti utilizzati da qualcuno (anche in Italia) per fare spicciola campagna politica. Ma qui si tratta di guardare in faccia la realtà, non di negarla. Si tratta di prendere misure che possano prevenire tragedie come quelle di Nizza e di Vienna”.

LA LEZIONE DI VIENNA

Con un bilancio in evoluzione e con molte dinamiche da capire, il ministro dell’Interno austriaco, Karl Nehammer, ha detto che le vittime sono quattro e i feriti 22 e che Fejzulai Kujtim, l’attentatore ventenne di origine macedone nato a Vienna, potrebbe essere stato il solo terrorista in azione e non uno dei quattro di cui si è parlato. Comunque sono già 14 le persone fermate. Oltre a pensare a riforme europee e a nuove leggi, si potrebbe ragionare su come alcuni Stati affrontano l’estremismo jihadista. Kujtim era noto all’antiterrorismo austriaco perché faceva parte dei 90 islamisti che tentarono di raggiungere la Siria, ma fu bloccato in Turchia e rispedito indietro. Il 25 aprile 2019 era stato condannato a 22 mesi di carcere proprio per aver aderito all’Isis e aver tentato di raggiungere i teatri di guerra eppure dopo poco più di sei mesi, il 5 dicembre, era stato liberato perché, come ha spiegato il ministro Nehammer, rientrava in un non meglio specificato regime privilegiato previsto a tutela dei giovani.

Se questa è l’utopistica soluzione per provare a reintegrare un combattente, era lecito almeno sperare in un controllo costante da parte dell’antiterrorismo visto che avrebbe anche annunciato l’attentato su Instagram? Può aver fatto tutto da solo oppure può trattarsi di una cellula, ma Kujtim ha trovato il modo di procurarsi un fucile, una pistola, munizioni, un machete e di fare una strage. Di fatto, un terrorista a piede libero che, secondo Nehammer, sarebbe “riuscito a ingannare il programma di deradicalizzazione della magistratura”. Dura critica al ministero della Giustizia, dunque, e necessità di “un’ottimizzazione del sistema”.

CONTROLLI AI CONFINI E IL PROBLEMA TUNISIA

Più attenzione agli obiettivi sensibili e più controlli ai confini. Sono alcune delle conclusioni del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal ministro Luciana Lamorgese con i vertici delle forze di polizia, dell’intelligence, delle Forze armate e dell’amministrazione penitenziaria. La prevenzione sarà ancora maggiore con “l’aggiornamento del monitoraggio degli obiettivi sensibili” e con più controlli ai valichi di frontiera nei quali sarà impegnato anche l’Esercito. Inoltre, per le “imprescindibili esigenze di sicurezza nazionale sui migranti irregolari”, il Comitato ha discusso di un piano operativo da concordare tra Italia e Tunisia per aumentare il contrasto delle organizzazioni di trafficanti di esseri umani. Il tema dei maggiori controlli in Tunisia era emerso anche nelle valutazioni fatte dopo la scoperta che il terrorista di Nizza, Brahim Aoussaoui, era tunisino ed era sbarcato a Lampedusa.

STESSE SCENE DEL 2015

Nell’attentato di Vienna ci sono alcuni dettagli che fanno riflettere e che rappresentano anche un messaggio subliminale per altri potenziali terroristi. Se si va a cercare qualche video dell’attacco a Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015 a opera dei fratelli Saïd e Chérif Kouachi, si troverà quello girato da un giornalista della rivista satirica fuggito su un tetto nel quale si vedono i due terroristi urlare “Allahu Akbar” in mezzo a strade deserte nel centro di Parigi, come se ne avessero il controllo, e quindi uccidere a sangue freddo un poliziotto di origine musulmana, il brigadiere Ahmed Merabet, dopo aver incrociato una pattuglia. A Vienna il terrorista ha sparato a sangue freddo a un passante, terrorizzato e con le spalle al muro, ed è tornato sui suoi passi per il colpo di grazia. Le immagini riprese da una finestra sono molto simili a quelle di Parigi: un professionista calmo e determinato. Il suo avvocato ha dato la colpa agli “amici sbagliati”, che forse erano nella moschea che frequentava.

 

 

 

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