C’è il nome di Michèle Flournoy sulla casella del Pentagono per Joe Biden. Con diversi incarichi con Clinton e Obama, e molteplici legami tra think tank e apparati militari, sarebbe la prima donna a guidare il dipartimento della Difesa. Tra budget, missioni all’estero e armi nucleari, ecco come potrebbe cambiare la politica di difesa degli Stati Uniti
Budget stabile (o in leggere calo), ritiri militari attenuati e focus sulla deterrenza alla Cina, più con tecnologie disruptive e meno con armamenti nucleari. Potrebbe essere così la Difesa degli Stati Uniti targata Joe Biden, almeno a leggere i punti programmatici del presidente eletto e il suo operato in ambito parlamentare. Certo, a pochi giorni dall’assegnazione della vittoria e in vista della battaglia legale scatenata da Donald Trump, molto è ancora da definire, a partire dalla conformazione del prossimo Congresso e dalla scelta sul prossimo capo del Pentagono. Su questo ultimo punto tutti i segnali puntano verso l’esperta Michèle Flournoy, per molti destinata a essere la prima donna a guidare il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
L’EPISODIO
L’episodio-chiave viene ricordato da un informato articolo di DefenseNews. Risale al 20 giugno 2016, negli ultimi mesi della seconda amministrazione Obama, quando l’allora vice presidente Biden aprì un evento organizzato al Center for a new American security (Cnas). A introdurlo c’era Michèle Flournoy, allora ceo e fondatrice (nove anni prima) del think tank con sede a Washington. Biden l’appellò come “madam secretary”, lanciando tra gli applausi del pubblico la sua personale “raccomandazione” per quelle che fino ad allora erano solo indiscrezioni: la sua possibile candidatura a guidare il Pentagono in caso di vittoria di Hillary Clinton. Vittoria che non ci fu, lasciano il campo all’era Trump. Quattro anni dopo, la Flournoy si ritrova in cima alla lista dei candidati per guidare il dipartimento della Difesa.
IL CURRICULUM
Il curriculum è quello giusto. La carriera nelle amministrazioni pubbliche è iniziata negli anni Novanta durante la presidenza Clinton, per cui la Flournoy è stata “principal deputy assistant secretary” alla Difesa per le strategie e la riduzione delle minacce e poi “deputy assistant secretary” per la strategia. Esperienza seguita da diversi anni nel mondo della ricerca durante l’era Bush, come distinguished research professor alla National defense university (Ndu) e poi come senior advisor dell’autorevole Center for strategic and international studies (Csis). Nel 2007, decide di fondare il suo think tank (il Cnas), con l’idea di proporre un nuovo approccio bipartisan alle sfide della difesa e della sicurezza. L’anno successivo entra nel transition team di Obama per il dipartimento della Difesa, che il neo-presidente confermerà poi nelle mani di Robert Gates, scelto per quel ruolo già da Bush. Al Pentagono la Flournoy riceve l’importante incarico di sottosegretario per la Politica, che lascia allo scadere della prima presidenza Obama.
ESPERIENZE E CONTATTI
Nel 2012 sperimenta difatti un breve periodo in campo industriale, prima di tornare al Cnas come ceo e non senza essere riproposta in lizza per diverse sostituzioni al Pentagono (compresa quella per la guida quando Chuck Hagel annunciò le dimissioni nel 2014). L’esperienza in ambito dem non le ha impedito di guadagnarsi fiducia anche in campo repubblicano. Dopo l’elezione di Donald Trump nel 2016 e la scelta del generale Jim Mattis per il Pentagono, la Flournoy fu ritenuta tra le papabili per il ruolo di vice.
Ora con Biden si riapre la strada per la posizione di vertice. Oltre l’endorsement del 2016, i link e i contatti indiretti con il presidente eletto sono diversi. Nel 2016 la Flournoy fu tra i fondatori della società di consulenza WestExec Advisors insieme Antony Blinken, già consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden durante la prima presidenza Obama, ora considerati tra i candidati per diventare segretario di Stato dopo Mike Pompeo. Tra Cnas e WestExec Advisors, sono molteplici le figure che legano Flournoy al presidente eletto, nonché alle strutture di vertice dei dipartimenti dedicati a sicurezza e difesa.
LINEE STRATEGICHE
Anche per questo l’eventuale guida del Pentagono è ritenuta dagli esperti direzionata verso una certa linearità a livello di grand strategy, e ciò vale per l’intera amministrazione Biden. Si parte prima di tutto dalla competizione a tutto tondo con Cina e Russia, certificati come principali competitor in ogni documento strategico degli ultimi anni. La Flournoy ha spesso ribadito negli ultimi tempi come il Dragone d’Oriente sia la prima minaccia alla sicurezza americana, criticando altresì l’amministrazione Trump per aver dato spazi di soft power alla Cina nel corso della risposta alla pandemia (su questo citò come esempio gli aiuti all’Italia per il contrasto al Covid). Lo stesso Biden, nonostante un’iniziale propensione alla ricerca di relazioni pacifiche (e commerciali) con Pechino, è arrivato a concordare con Trump sul fatto che la Cina rappresenti “la più grande sfida strategica agli Stati Uniti e ai nostri alleati”. In altre parole, la nuova amministrazione non potrà sfuggire all’ormai acclarato ritorno della “great power competition”.
RITIRI MILITARI
La continuità sulla grand strategy si preannuncia evidente anche in tema di ritiri militari. I diversi annunci di riduzione degli impegni targati Trump sono tutti passati dagli apparati della Difesa e del dipartimento di Stato, dal Pentagono e dai comandi, strutture che ne hanno attenuato gli effetti conservando una logica dialogante con alleati e partner rispetto alla sparate mediatiche del presidente uscente. La linea degli apparati troverà probabilmente vigore con il nuovo capo democratico del Pentagono, sulla scia della ricostruzione della fiducia reciproca con gli alleati che Biden ha promesso in campagna elettorale. Sul tema Flournoy ha spiegato di recente che gli Usa devono ripristinare il concetto di “alleanze di valori e principi” oltre quello di “business partnership”. D’altra parte, il progressivo ridimensionamento dal ruolo di “poliziotto del mondo” per Usa precede l’amministrazione Trump, affondando le radici in quella di Barack Obama, ragion per cui è destinato a preservarsi anche nell’amministrazione Biden.
LA CIFRA TECNOLOGICA
Tra le cifre più rilevanti che la Flournoy potrebbe applicare al suo (eventuale) mandato c’è quella tecnologica. Il tema dell’innovazione disruptive applicata all’ambito militare è stata spesso al centro di suoi interventi recenti, tra difesa aerea, missilistica e nuovi domini. Qui peserebbe anche il focus sul tema di Joe Biden, che in sede di discussione parlamentare sul budget militare per il prossimo anno stressava “cyber, spazio, sistemi autonomi e intelligenza artificiale”, con sottolineature anche per strumenti di soft power come diplomazia e potere economico. Da notare che il Pentagono ha rinnovato da tempo l’attenzione per le tecnologie più avanzate, inaugurando l’anno scorso la Space Force e lanciando diversi programmi innovativi (in campo missilistico soprattutto, tra ipersonica e spazio). La Flournoy si è rivelata più tecnica sul tema, parlando di “reti di reti” applicate alle catene di comando e controllo e ai sistemi autonomi “aumentati” dall’intelligenza artificiale.
IL BUDGET
Ciò si ripercuoterà visibilmente anche sui programmi da promuovere in ambito Difesa, e dunque sull’effetto della vittoria democratica sul budget militare. L’effetto Trump sul rialzo del bilancio militare rispetto agli anni della sequestration di Obama si è fatto sentire parecchio, con 700 miliardi nel 2018, 716 nel 2019 e 733 per quest’anno (la richiesta per il 2021 vede un leggero ridimensionamento). Biden ha criticato tale incremento costante, parlando di “abbandono della disciplina fiscale”, ma non ha mai detto di voler ridurre il budget della Difesa. Gli analisti prevedono dunque un bilancio sostanzialmente piatto per i prossimi anni, considerando comunque altri due elementi che peseranno sul tema: la conformazione del nuovo Congresso e il peso che sull’amministrazione Biden avrà la sinistra più radicale, tradizionalmente contraria alle spese per la difesa.
EXPORT…
Due elementi che si faranno sentire su altrettanti ulteriori temi: l’export di armamenti e la modernizzazione della triade nucleare. Sul fronte delle esportazioni, i democratici in Congresso hanno espresso più di qualche perplessità per diverse vendite promosse dall’amministrazione Trump in Medio Oriente (recenti quelle per gli F-35 ad Emirati Arabi), con critiche particolari per l’Arabia Saudita per il coinvolgimento nella guerra in Yemen (nel 2017 gli Usa firmarono accordi da 110 miliardi di dollari con Riad).
…E NUCLEARE
Sul tema nucleare il peso della sinistra radicale rischia di essere ancora maggiore. Al Senato Biden si è opposto allo sviluppo della testata a bassa intensità W76-2, grande novità dell’arsenale americano e capace (secondo gli esperti) di spostare gli equilibri del confronto tra grandi potenze se abbinata agli sviluppi sul fronte dell’ipersonica. La Flournoy si era definita “scettica” della necessità di svilupparla quando il programma prese piede nel 2017, dicendosi altresì favorevole a una riduzione delle spese dedicate al programma nucleare. Con la presidenza Trump i repubblicani hanno dato spinta all’obiettivo di modernizzare l’intera triade nucleare e difficilmente tale spinta sarà confermata con Biden. La Flournoy ha mostrato attenzione agli aspetti di “costo-efficacia”, notando la necessità di un arsenale “sicuro ed efficace” (soprattutto per la deterrenza alla Cina) ma ponendo l’accento sull’esigenza di valutare tutte le opzioni possibili.
GLI ALTRI CANDIDATI
Non c’è però solo Michèle Flournoy per la corsa alla successione a Mark Esper. È destinata ad avere un ruolo nell’amministrazione Susan Rice, consigliere alla sicurezza nazionale di Barack Obama dal 2013 al 2017 e prima rappresentante permanente all’Onu, con un curriculum tra think tank e amministrazioni pubbliche. Il suo nome è in lizza per il dipartimento di Stato, ma qualcosa la poltrona sia assegnata al già citato Blinken, potrebbe prendersi la Difesa. Quotata anche la senatrice dell’Illinois Tammy Duckworth, veterano della guerra in Iraq, dove ha servito come pilota di elicotteri per lo US Army (rimanendo gravemente ferita). Chiude il quartetto la senatrice Martha McSally (al momento sotto nel ballottaggio in Arizona), prima donna pilota della US Air Force a volare in combattimento e a comandare un fighter squadron.