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Così M5S diventa un partito (nel segno di Biden). Parla Pombeni

Governo

Conversazione con il politologo e storico dell’università di Bologna. L’invito di Luigi Di Maio a superare gli steccati ideologici del Movimento Cinque Stelle e ad abbracciare la rivoluzione green può funzionare solo a date condizioni. E questo centrosinistra sbaglia a specchiarsi nell’elezione di Joe Biden, di mezzo c’è un oceano

A tre settimane dalle elezioni presidenziali americane la maggioranza giallorossa continua a chiedersi quale sia la lezione di Joe Biden per la politica italiana. Sulle colonne di Repubblica il ministro degli Esteri Luigi Di Maio vi ha scorto una nuova via per il Movimento Cinque Stelle. Con un intervento apparentemente incentrato sulla politica estera ma di grande salienza politica ha tracciato una road map per traghettare il Movimento verso un fronte progressista che non solo può trovare assonanze con i democratici italiani ma può tirare fuori i Cinque Stelle dall’angolo in cui sono finiti in Europa, senza casa né partito. Multilateralismo, ambiente, sostenibilità le parole chiave per ritingere di verde la prima forza politica in Parlamento. Basterà? Paolo Pombeni, storico e politologo, professore emerito all’Università di Bologna, ha i suoi dubbi.

Professore, cosa non la convince?

Servirebbero idee, più che parole. Pensare di vincere con i manifesti è un vecchio vizio della politica italiana, ma i manifesti sono una componente relativa dell’azione politica, che deve dimostrare di saper camminare sulle sue gambe.

Cosa serve allora?

Competenze. È questa la vera lezione di Biden. Ha dimostrato che la gente cerca qualità di governo, non progetti o slogan. Per questi Trump è insuperabile.

Le battaglie per l’ambiente sono uno slogan?

Dipende. È una causa sacrosanta, ineludibile, la classica su cui tutti sono d’accordo, in teoria. In pratica, se si traduce nel bonus monopattino vale poco. Sarebbe come risolvere il problema del cibo avariato invitando le persone a costruirsi un orto in casa. Un controsenso.

Di Maio invita a superare gli “steccati ideologici”. La Casaleggio Associati è uno di questi?

Il sistema Casaleggio, semmai, è uno steccato tecnologico. Le ideologie, intese nel senso novecentesco del termine, cioè appartenenze a un mondo sociale, non esistono più. Il Movimento dovrebbe iniziare a costruire un rapporto forte con i centri di rielaborazione del sapere comune. Ha bisogno di un pensatoio per restare in vita.

Poi?

Poi dovrebbe accettare il ridimensionamento fotografato dai sondaggi. Non può più rivendicare la centralità assoluta delle elezioni del 2018. Ha già avviato la trasformazione da movimento a partito. Ha delle competenze e personalità da valorizzare, oltre a Di Maio penso a Stefano Patuanelli e Roberto Fico. Per farlo, deve saltare il vero steccato: abbandonare i pasdaràn degli esordi. Lo fece perfino un movimento antidemocratico come il fascismo, quando Mussolini, una volta al potere, si sbarazzò dei picchiatori e di alcuni Ras.

Secondo Matteo Renzi, l’elezione di Joe Biden insegna che si vince al centro. È d’accordo?

La politica non vince a sinistra, centro o a destra, ma quando riesce a coagulare un ampio numero di interessi. Dire che Prodi nel 2006 o Berlusconi nel 2008 hanno vinto al centro è una banalizzazione. La Dc vinceva perché rappresentava la maggioranza del Paese, non il centro.

Quindi il centrosinistra sbaglia a guardare a Washington DC?

Sbaglia a illudersi che possa nascere un movimento democratico internazionale sulla scia di Biden. Il presidente-eletto è un vecchio esponente dell’inner-circle obamiano che ora sta resuscitando. Qui esiste un esponente del vecchio establishment che riuscirebbe a fare lo stesso? Prodi, Veltroni ci riuscirebbero? Ci provarono anni fa, con l’Ulivo universale. Sappiamo come è finita.

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