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Ma Salvini ha capito che ha vinto Biden? Il corsivo di Arditti

I tre transfughi forzisti accolti da Salvini sono una reazione “di pancia” non consona a un politico di serie A. Anche perché con Biden alla Casa Bianca… Il corsivo di Arditti

La mossa (sbagliata a mio avviso) del leader leghista Matteo Salvini di agevolare il passaggio al gruppo della Lega di tre deputati (Maurizio Carrara, Laura Ravetto e Federica Zanella) di Forza Italia evidenzia diversi aspetti critici dell’intera coalizione di destra, ma soprattutto mette in piazza una incapacità (questa però tutta dell’ex ministro dell’Interno) assai preoccupante per un uomo politico oggi alla guida di un partito importante e magari (un domani) a capo del governo.

Nell’accettare l’ingresso in Lega dei tre parlamentari (ex) azzurri (di cui due eletti in Lombardia, dettaglio non da poco vista l’esiguità di posti a disposizione nella prossima legislatura) Salvini mostra cioè di faticare assai nella lettura dei fatti politici intorno a lui, in particolare di quelli che accadono all’estero.

Nello specifico una maggiore attenzione alle vicende americane lo avrebbe portato a ben altre decisioni, pur nel frangente concitato (tra norma pro Mediaset e ammiccamenti vari tra Partito democratico e Forza Italia) in cui anche lui è costretto a operare, per una ragione tanto semplice quanto dirompente nei sui effetti: a Washington vince Joe Biden e perde Donald Trump.

Quindi (domanda retorica), la tesi di questo articolo è che la vittoria di Biden c’entra qualcosa con il passaggio alla Lega di Carrara, Ravetto e Zanella? Certo che sì. E dico di più: proprio perché ha vinto Biden quel passaggio in blocco è stato una scelta avventata, una reazione “di pancia” non consona a un capo politico di serie A, una mossa di ritorsione che però denuncia palesemente un vuoto strategico cui si cerca di porre rimedio con spasmodico ricorso alla tattica.

Per capirci meglio occorre considerare tre elementi essenziali (di cui due “esterni” alla politica nazionale), i cui effetti però sono convergenti e, tutto sommato, anche perfettamente dotati di sincronia temporale.

Il primo è la sconfitta di Trump (battuto più dalla pandemia che da Biden in verità) che però ci porta in un nuovo mondo che sa di antico: la saldatura tra le élite politiche sulle due sponde dell’Atlantico riprende forza, alla Casa Bianca va un cattolico di sinistra (moderatamente di sinistra, anzi molto moderatamente) che però interrompe l’onda sovranista, togliendole la protezione della figura istituzionale più importante, cioè il presidente degli Stati Uniti. I Bolsonaro e gli Orban (e quindi anche Salvini e Le Pen) sono oggi più soli, meno solidi e anche meno spavaldi, proprio perché ha perso il più forte di tutti loro, quello che sembrava invincibile, quello con più portaerei, multinazionali, grattacieli. Quindi torna ad aprirsi un gioco di rapporti multilaterali (che il deep State americano ha mantenuto in vita anche negli ultimi quattro anni senza dare troppo nell’occhio) nel quale gli “irregolari” (tra cui Salvini) saranno messi in difficoltà.

Il secondo elemento è tutto di carattere europeo, ma anch’esso è (in parte) collegato all’esito del voto americano. Se con Trump infatti molti potevano pensare (anche solo in teoria) di tenere un filo diretto con la Casa Bianca, con Biden l’Unione europea tornerà ad essere interlocutore privilegiato dell’amministrazione a stelle e strisce, perché questa è la tradizione decennale dei democratici. Quindi sarà Angela Merkel a guidare le danze (con Emmanuel Macron in seconda battuta), anche in virtù del fatto che l’esplosione del debito pubblico (causa pandemia) in tutti i Paesi Ue certifica una volta per tutte che le politiche di bilancio si faranno a Bruxelles e non più nelle diverse capitali (e così resterà per alcuni decenni almeno). Ora, in Europa la Lega è ai margini dei giochi che contano, isolamento che appare ancor più malinconico con la sconfitta del titolare di Maga (Make America great again), mentre invece la pur traballante (elettoralmente) Forza Italia è all’interno del Partito popolare europeo, cioè la famiglia politica più importante del continente.

Infine ci sono gli aspetti più italiani, che però sono tutt’altro che secondari. Se Salvini ha fatto la mossa dei transfughi per mostrare a Silvio Berlusconi tutto il suo fastidio per gli scambi di affettuosità tra Forza Italia, Partito democratico e Giuseppe Conte un po’ lo si può capire: quando il Cavaliere ingrana la marcia (con la regia di Gianni Letta, da sempre dotato di scarso feeling con il Capitano) è difficile stargli dietro. Però Salvini non può rimproverare più di tanto a un suo alleato di fare “incuici” (peraltro nell’attuale e drammatica situazione nazionale), per il semplice fatto che lui con il Movimento 5 stelle ci ha fatto un governo, in palese contraddizione con la campagna elettorale svolta a fianco di Giorgia Meloni e Berlusconi.

Insomma l’aria è cambiata, innanzitutto a livello internazionale. Il Cavaliere (che non ha mai amato Trump e ha fatto di tutto per farcelo capire negli anni passati) ha colto al volo l’occasione e na ha approfittato anche per prendersi qualche rivincita proprio con Salvini. Il quale però ha sbagliato (a mio parere) la reazione: tre transfughi sono troppi, ne bastava uno.

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