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Giovani cattolici e politica. L’esempio di Dossetti contro il carrierismo

Ad un quarto di secolo dalla dissoluzione Dc, tra le nuove generazioni interessate a partecipare alla vita pubblica cresce il numero di chi rivendica l’appartenenza al cattolicesimo come fattore centrale del proprio agire politico. Il commento di Nico Spuntoni

Mai come in questi ultimi anni è tornato di moda il dibattito sul rapporto tra fede e politica. Questo rinnovato interesse ha contribuito a riproporre anche il tema dell’impegno politico dei giovani cattolici. Ad un quarto di secolo dalla dissoluzione Dc, tra le nuove generazioni interessate a partecipare alla vita pubblica cresce il numero di chi rivendica l’appartenenza al cattolicesimo come fattore centrale del proprio agire politico. Si tratta di giovani che, per motivi anagrafici e non solo, sono estranei alla diaspora democristiana pur essendo, talvolta, inclini ad una certa mitizzazione della Balena Bianca.

Tra di loro c’è chi cerca esteriormente di dare una connotazione alla propria militanza in determinati partiti con proclami cari a battaglie ritenute un marchio di fabbrica del mondo cattolico e chi, invece, ancora restio ad un coinvolgimento diretto, si trova meglio a pungolare culturalmente quel terreno politico giudicato fertile per la (ri)nascita di un modello considerato vincente.

Non di rado lo status di “giovane cattolico” fa nascere la presunzione di un’alterità che dà diritto all’assegnazione futura di posizioni di potere, senza “sporcarsi le mani” con la presenza sul territorio e l’attenzione per i problemi sociali. Purtroppo, il cordone reciso con la tradizione del cattolicesimo politico dopo la traumatica fine della Dc nel 1994 ha tolto alle nuove generazioni la possibilità di prendere confidenza con molte delle figure entrate di diritto nel Pantheon di quella storia.

Da questo patrimonio ancora oggi potrebbe essere colto l’antidoto più efficace alla tentazione del carrierismo, riscoprendo la vicenda personale di uno dei democristiani più influenti del Dopoguerra che all’apice della carriera si ritirò dalla scena per abbracciare il sacerdozio. Giuseppe Dossetti. A quest’ultimo – prescindendo dal giudizio sulle sue idee e sul suo operato all’Assemblea Costituente, al Vaticano II e nella Seconda Repubblica – si deve forse l’esempio più radicale di politica intesa come servizio anziché occupazione del potere.

Proprio da lui, che ai tempi della corrente dei professorini veniva accusato dai colleghi di partito più anziani di arrivismo, giunge ai giovani odierni l’insegnamento più coerente su quella “conciliazione tra un agire profondo con la fede e un agire politico” ritenuta difficile, ma possibile se ci si lascia “adoperare da Dio, anche per un breve tempo, segnato magari da un insuccesso”.

Nei suoi scritti sull’argomento, forti della credibilità data dall’esperienza personale, Dossetti ricordava al cattolico impegnato nella vita pubblica il dovere di essere “sempre essere pronto a lasciare il suo ruolo – tanto più quanto più possa essere umanamente appetibile – come un viaggiatore deve lasciare la camera d’albergo in cui ha pernottato una notte, disposto persino a lasciarvi la valigetta con cui vi era entrato”.

Per il padre costituente il solo fatto di professarsi cattolici non dà una marcia in più a chi decide di impegnarsi nella vita pubblica del Paese dal momento che, così come non c’è un’incompatibilità assoluta, “non si può sostenere una compatibilità di principio tra esperienza di fede e politica” mentre la sua preoccupazione è che i cattolici che si buttano nella mischia possano avere quegli “abiti virtuosi adeguati” che “occorrono tutti non solo per agire, ma anche e prima per pensare correttamente ed esaustivamente i giudizi e le azioni conseguenti”.

Quegli “abiti virtuosi” richiesti anche ai giovani di oggi per poter scampare il rischio di esaurire ogni slancio partecipativo dietro alle alchimie tattiche di politici sopravvalutati anziché investirlo, ad esempio, per orientare i partiti a proporre soluzioni ispirate alla dottrina sociale della Chiesa contro la crisi socio-economica che viviamo. L’impegno nella vita pubblica dei giovani cattolici potrà trarre sicuramente più beneficio dalla radicalità evangelica dell’esempio dossettiano che dal moderatismo forzato con cui si vorrebbe scimmiottare la Dc.


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