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Stock e flussi di risparmio. Interpretazioni a confronto

Qualche giorno fa è stato pubblicato l’ultimo Rapporto Eurostat sul secondo trimestre del 2020, che certifica un crollo dei consumi nell’area euro e nella Ue nel suo complesso. Non è certo una sorpresa. Le misure di contenimento hanno forzato le economie europee in una situazione di stallo, che ha influenzato prima di tutto i consumi, alcuni dei quali divenuti tecnicamente impossibili e ridotti ai beni primari. Quello che invece colpisce è il differenziale sui risparmi, che presentano andamenti molto diversi e divergenti fra i vari paesi membri.

Stupisce il dato svedese, dove le misure di contenimento non ci sono state e l’economia (almeno nelle sue dinamiche interne) avrebbe dovuto continuare a correre ai ritmi consueti; e invece i dati ci raccontano un risultato in termini di caduta del Pil analogo a quello dei paesi continentali, che si porta dietro un crollo dei consumi ed un risparmio addirittura negativo.

Ma soprattutto sorprende il caso italiano, dove i consumi sono crollati poco più del Pil, con un incremento dei risparmi davvero minimo, rispetto a tutti gli altri paesi europei. Un dato in controtendenza rispetto al resto d’Europa; forse positivo, se dovessiomo seguire la logica di Visco, che illustreremo più sotto. Un dato invece preoccupante, come cercherò adesso di argomentare.

Un basso livello dei redditi generalizzato impone una propensione marginale al consumo elevata (tutto il reddito viene consumato, per assicurarsi la ‘sopravvivenza’): la diminuzione del Pil in questo caso non può che impattare molto relativamente su consumi già compressi, lasciando ben pochi margini all’aumento del risparmio. Il problema italiano potrebbe essere quindi la posizione di partenza di gran parte degli individui, non tanto la diminuzione relativa del reddito.

Se questa interpretazione fosse corretta, significherebbe che, rispetto a Irlanda, Spagna e Portogallo, ossia a paesi con perdite di Pil comparabili alle nostre, esiste una distribuzione del reddito fortemente asimmetrica nel paese, caratterizzata da una media molto bassa e consumi non comprimibili.

In questo contesto, sembra stonare il commento di Ignazio Visco, Governatore di Bankitalia, che ha espresso preoccupazione venerdì (dopo che sono stati resi noti i dati superiori alle attese del Pil nel terzo trimenstre dell’anno, al +16,4%) sul rischio che il maggior reddito si traduca in un aumento dei risparmi e in una diminuzione dei consumi. Sottintendendo che il risparmio è un elemento negativo; cosa che naturalmente, in un’ottica keynesiana, lo è, visto che sottrae risorse ai consumi, tenendo bassi i moltiplicatori della spesa e costituendo un ostacolo alla crescita. Una visione di fatto condivisa dallo stesso Presidente Mattarella, che l’ha espressa curiosamente proprio in occasione delle celebrazioni per la giornata del risparmio, quando ha posto l’accento sulla necessità che questo risparmio sia smobilizzato, diventando motore della ripresa in Italia: come dire che il risparmio è una virtù solo se sparisce.

Ragionamenti plausibili. Che ci sentiamo di condividere; ma solo perchè sono riferiti allo stock complessivo di risparmio, non ai flussi. Lo stock dipende dalle aspettative: dalla fiducia nel futuro, nelle istituzioni e nella loro capacità di reagire in maniera seria e credibile agli shock (che evitano di spostarlo in qualche paradiso fiscale al riparo da tentazioni di patrimoniali e simili); da un tasso d’inflazione reale (e soprattutto vero, non quello registrato dai canali ufficiali) tenuto sotto controllo per non alterarne il valore nel tempo.

I flussi di offerta di risparmio dipendono invece dal reddito di ciascun individuo. Il che ci riporta all’interpetazione di una debole ripresa (dei flussi) del risparmio come specchio di forti diseguaglianze nella distribuzione del reddito. Una situazione che certo è, in parte, ben nota, visto che nel 2018 il coefficiente di Gini, che indica la concentrazione della ricchezza per classi di reddito, in Italia era a 0,334: un valore piuttosto alto che segnala una forte diseguaglianza distributiva: siamo messi un po’ peggio dell’Uzbekistan, per capirci; anche se in maniera sostanzialmente analoga a Spagna e Portogallo.

Una situazione che, visti però i dati distanti dalle performance sul risparmio proprio di Spagna e Portogallo, sembra assumere proporzioni ben più ampie di quanto ci si sarebbe potuti attendere. E che richiede una riflessione molto più attenta ed ampia sulla destinazione delle risorse del Next Generation EU nel nostro paese; sulla capacità di comporre un quadro di spesa credibile, tale da generare fiducia nella ripresa. Ma che soprattutto deve essere centrato sugli strumenti per accrescere le opportunità medie di reddito, con un occhio davvero alle generazioni future: formazione e ricerca, infrastrutture, innovazione.



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