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Una strategia farmaceutica europea. L’appello di Häusermann (Egualia)

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“Premesse buone, i risultati lo saranno altrettanto se la salute sarà davvero al centro delle politiche europee e nazionali”. Conversazione con Enrique Häusermann, presidente di Egualia. “La soluzione l’ho detto e lo ripeto, è che la salute esca da qualunque vincolo di bilancio. Solo così potremo salvare la salute dei cittadini e quella del Paese”

La Commissione europea ha presentato la nuova strategia farmaceutica per l’Unione. Una frontiera che apre nuovi orizzonti per la gestione della sanità e del settore farmaceutico. Innovazione, ricerca, digitalizzazione e condivisione delle competenze sono fra i pilastri del programma che vede, fra gli obiettivi, una maggiore uguaglianza nell’accesso ai farmaci e nuovi e più stabili finanziamenti a sostegno dell’industria di settore. E, non da ultimo, un migliore e più ampio riconoscimento del comparto pharma come strategico, consentendo dunque all’Unione europea di poter soddisfare autonomamente il proprio fabbisogno farmaceutico, anche in tempi di crisi. E recuperare quella sovranità industriale fortunatamente non ancora del tutto perduta. Formiche.net ne ha parlato con Enrique Häusermann, presidente di Egualia, l’organo di rappresentanza ufficiale dell’industria dei farmaci generici equivalenti e dei biosimilari (già Assogenerici).

Come e perché un’Unione sanitaria europea può essere auspicabile? Potremmo incontrare ostacoli?

Potremmo, certo, soprattutto di natura ideologica e politica. Ma serve e con urgenza, com’è emerso evidentemente durante la pandemia. Tutti i Paesi si sono accorti di non poter affrontare singolarmente e individualmente l’emergenza sanitaria e che, oggettivamente, una regia e una programmazione generale e centralizzata avrebbe potuto essere d’aiuto. Affinché funzioni, però, serve una condivisione degli obiettivi e delle priorità da parte di tutti i Paesi membri.

La Commissione ha appena condiviso la nuova e prima strategia farmaceutica europea. Le premesse sono molto buone, possiamo sperare che lo siano anche i risultati?

Di certo serve più Europa. E i risultati saranno in linea con le aspettative se si riuscirà a mettere la salute al centro della politica, generando un sistema di investimenti che garantiscano il rispetto della salute dei cittadini europei. Per fare questo, una governance europea di indirizzo e programmazione sarà utilissima.

Quale provvedimento sarebbe prioritario in tal senso?

Svincolare la sanità, e quindi la salute, dai vincoli di bilancio. Se un Paese fa cento ospedali è impensabile che generino uno sfondamento del bilancio.

Crede sia possibile una cosa del genere?

È un po’ un’utopia, ma spero che in occasione del Global health summit venga messo sul tavolo del vertice. La questione riguarda tutta l’Europa, distrutta da anni di tagli nel campo sanitario.

Nella strategia si parla in primis di ricerca e innovazione. Quali sono secondo lei le lacune dell’Europa e quali le soluzioni auspicabili?

La ricerca in Europa è un po’ a macchia di leopardo, per cui un indirizzo generale potrebbe essere una soluzione. Bisogna dire, però, che nel documento l’Europa ha un po’ ammesso le proprie responsabilità. Serve sostanzialmente rivedere la gestione dei finanziamenti, non solo per i vaccini e le terapie antivirali, che sono fondamentali, ma anche per esempio per le malattie neurodegenerative o per i tumori pediatrici, che incidono molto sulla sanità europea.

Accessibilità dei farmaci. A che punto siamo in Europa?

Possiamo dire che tutto sommato in questo senso la sanità europea è molto più avanti di tanti altri continenti o Paesi. Non può essere definita totalmente universalistica, ma quasi ci siamo. Al contempo, però, ad oggi non è ancora garantito pari accesso ai diversi tipi di farmaci, ma posso dire con certezza che abbiamo assistito a un importante cambio di passo rispetto ai primi anni dello scorso decennio.

Parliamo invece di generici e biosimilari. Tra i pilastri della strategia c’è un tentativo di sostenere e spingere questi farmaci. Quali benefici potrebbero derivarne?

I medicinali a brevetto scaduto, che includono sia i farmaci da sintesi chimica che biologici, e dunque sia gli equivalenti che i biosimilari, creano competitività sul mercato, generando un circolo virtuoso. Che si ripercuote sia sulla produzione industriale sia, di conseguenza, sui costi per il paziente, che inevitabilmente si riducono. L’interesse del legislatore dovrebbe essere duplice in questo campo. Per il cittadino-paziente e per l’industria.

Negli anni passati il trend com’è stato?

Onestamente? C’è stata una costante flessione, soprattutto per quanto riguarda i farmaci equivalenti, dei prezzi di rimborso. Con un grande rischio, e cioè che le aziende inizino a ritenere improduttivo distribuire determinati medicinali perché il margine di guadagno è estremamente basso. Generando un effetto rebound, che grava sulla collettività.

Ovvero?

Un medico inizia a non trovare più un determinato prodotto, pur essendo il più economico, e si trova a dover scegliere per forza fra i più cari, perché sono gli unici a restare nel mercato.

Sappiamo che il farmaceutico rappresenta da sempre una punta di diamante in Europa, e in Italia in particolar modo. Leggendo fra le righe, ma nemmeno troppo, della strategia, si evince una volontà di tornare a una sorta di sovranità dell’Europa in campo sanitario. Mi sbaglio? Quanto è importante muoversi in tal senso?

Non solo è un tema importante, è fondamentale. Nella produzione di farmaci l’Europa è leader mondiale, l’Italia ancor di più, prima fra i Paesi europei, per cui il comparto va difeso con tutti gli strumenti possibili. La capacità dell’Europa in campo farmaceutico è emersa con vigore durante la pandemia, ma se avessimo avuto maggiori capacità e maggiori tutele non ci saremmo trovati in fasi di emergenza acuta. Più di una volta siamo andati in affanno perché i principi attivi, prodotti e distribuiti da Cina e India, erano difficili da reperire.

Le nostre vite erano nelle mani dell’oriente, in breve sostanza? Com’è possibile?

Perché alcuni prodotti, grazie ai costi inferiori offerti da altri Paesi, vengono prodotti lì. Nei primi mesi della pandemia più di una volta siamo stati in difficoltà nella distribuzione dei farmaci necessari alle terapie intensive. Perché pur producendoli magari in Europa, mancavano i componenti essenziali, e cioè i principi attivi, invece arrivano da fuori. Per fortuna il numero di persone che finiscono in terapia intensiva è diminuito, altrimenti non so come sarebbe andata.

Il reshoring è la soluzione?

Non bisogna correre troppo, ma ci stiamo lavorando con le altre associazioni del settore attraverso un cluster che afferisce i ministeri.

Per una strategia europea abbiamo dovuto aspettare una pandemia globale che ha fatto più di un milione di morti. Quanto avrebbe aiutato una strategia simile se fosse stata adottata con anticipo e quanto di conseguenza potrà aiutare per eventuali pandemie future?

Una preparazione migliore a livello europeo avrebbe evitato tanti danni, sia in termini economici che di vite umane. Non dico che sarebbe cambiato tutto, ma qualcosa sicuramente sì.

In Italia siamo pronti per una strategia europea, con una sanità spaccata fra regioni?

Il dramma, ricordiamolo, è nato con il Titolo V, che ha creato una voragine nel diritto alla salute sancito costituzionalmente, dividendo i cittadini fra pazienti di serie A e pazienti di serie B. Ci sono regioni che hanno accesso a determinati farmaci mesi prima di altre, alcune che arrivano a non averli mai. Persino la rimborsabilità è del tutto arbitraria.

L’Europa potrà essere d’aiuto?

Se metterà la salute al centro della sua agenda, sì. La soluzione reale, l’ho detto e lo ripeto, è che la salute esca da qualunque vincolo di bilancio. Solo così potremo salvare la salute dei cittadini e quella del Paese.

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