Skip to main content

Tecnoregimi. Cina, ma non solo. L’opinione di Mayer

Cina, ma anche Ungheria. Nel mondo bipolare che sempre più nitidamente si profila all’orizzonte ignorare le differenze siderali tra regimi democratici e regimi totalitari sarebbe un atto di irresponsabilità verso i nostri figli e nipoti. L’opinione del professor Marco Mayer

Ungheria e Italia sono i Paesi dell’Unione europea e della Nato che hanno maggiormente aperto le porte alla Via digitale della seta. Nessuno ne parla (neppure Giorgia Meloni), ma Viktor Orbán ha da tempo trovato una solida sponda politico-diplomatica a Pechino per rafforzare la strategia di sovranismo autoritario che sta allontanando l’Ungheria dai “fondamentali” dello Stato di diritto.

Da alcuni mesi Orban (che, per inciso, ha iniziato la sua carriera a Oxford come uno dei giovani talenti di George Soros) sta bloccando il varo del Recovery Fund pilastro fondamentale per il futuro dell’Europa e per la rinascita dell’Italia nella post-pandemia.

Contemporaneamente Orbán è diventato paladino e “portavoce” (nel significato che il Movimento 5 stelle attribuisce a questo termine) delle imprese cinesi che producono e gestiscono la banda ultralarga mobile (il celebre 5G). L’80% dei cittadini ungheresi sono clienti di Huwaei; Budapest è una delle più ampie porte di ingresso delle tecnologie digitali cinesi in Europa.

Un’analisi basata solo su fonti aperte non permette di capire se è giusto o sbagliato parlare dell’Ungheria come “quinta colonna” del Dragone in Europa. Ciò che invece non si può fare a meno di ricordare sono le analogie tra la politica estera ungherese e la postura del governo Conte I nella fase di preparazione del memorandum sulla Via della seta firmato tra i presidenti Xi Jinping e Giuseppe Conte all’inizio del 2019.

Peraltro all’epoca la Cina pre-pandemia godeva in Italia di ampie simpatie trasversali oggi in parte tramontate.

All’epoca, sull’adesione alla Via della Seta, il partito più diviso era la Lega con tre posizioni distinte. La naturale diffidenza verso Pechino di chi non ha mai nascosto l’approccio filoatlantico (Giancarlo Giorgetti e Raffaele Volpi) conviveva con l’entusiasmo della componente guidata dal viceministro allo Sviluppo economico Michele Geraci — uno dei protagonisti con Luigi Di Maio degli accordi con Pechino.

Sullo sfondo i dubbi di chi da sempre nella Lega lombarda nutre simpatie filo-russe.

Non si deve, infatti, dimenticare che l’asse Pechino-Mosca incontra resistenze in Europa centro-orientale dove, come nel caso della Serbia, gli interessi russi e cinesi entrano spesso in conflitto.

Rispetto all’Ungheria in Italia (forse perché fa parte del G7) l’apertura politica alla Cina appare più felpata. Da noi la massiccia presenza delle mega aziende digitali cinesi è anche il risultato della loro efficace e sotterranea capacità di lobbying nei partiti, nelle istituzioni, nelle università e sopratutto nei mondo dei media (tradizionali e nuovi).

Su questi aspetti della politica cinese (definibile come sharp power ) rinvio agli interessanti saggi di Federico Fubini, Vittorio Emanuele Parsi, Alberto Pagani, Francesco BechisPaolo Messa, solo per citarne alcuni.

Come accennato all’inizio Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è tra massimi sostenitori italiani di Orbán; il problema è che quando lei critica giustamente il regime di Pechino i commentatori più maliziosi commentano “da che pulpito viene la predica”. Si può osannare Orbán e tacere sul suo legame di ferro con Pechino?

Forza Italia non sembra avere particolari propensioni filocinesi, ma è inevitabile che la partnership Mediaset+Huawei sia da tempo sotto i riflettori degli analisti internazionali.

A sinistra come spesso accade c’è una notevole confusione. Roberto Speranza e Walter Ricciardi prendono tutto ciò che arriva dall’Oms per oro colato come purtroppo è avvenuto nel dicembre 2019 agli inizi della pandemia.

La posizione ufficiale del Partito democratico di Nicola Zingaretti non è ancora pervenuta. È bene precisare che voci autorevoli del partito hanno condannato la dura repressione dei ragazzi di Hong Kong e delle donne uigure nello Xingjang. Così come sul versante sicurezza nazionale i parlamentari piddini in commissione Difesa e Copasir sono stati molto attivi in materia di 5G e di intelligence economico-finanziaria.

La domanda cruciale è la seguente: se e quando arriveranno in Italia i tanti miliardi del Recovery Fund destinati al digitale e alla cybersecurity chi controllerà che non servano a favorire involontariamente potenziali intrusioni delle aziende cinesi?

Esse com’è finalmente noto a tutti, sono esplicitamente obbligate da ben quattro leggi cinesi in vigore a collaborare anche quando operano all’estero con il regime di Pechino.

Nel 2007 in nome dell’unanimità politica il parlamento lasciò cadere la proposta di inserire nella riforma dei servizi un’agenzia tecnologica dotata di garanzie funzionali di cui le agenzie sentivano già allora l’impellente necessità. Ma in Italia l’universo delle telecomunicazioni, dei satelliti, delle reti digitali e televisive era (ed è) materia politicamente incandescente e non se ne fece di nulla.

Nelle società digitali in cui viviamo le libertà fondamentali devono essere salvaguardate e senza strumenti adeguati non è possibile. Se non ora quando? Oggi è il momento di intervenire con emendamenti mirati alla legge 124 perché le agenzie dei nostri servizi possano finalmente avvalersi di un supporto tecnologico adeguato.

Il progetto di fondazione (inserito nella legge di bilancio e poi cancellato) non affronta questo aspetto, ma sembra alludere un tema diverso che non attiene direttamente alla sicurezza nazionale.

Se il presidente del Consiglio vuole costituire una fondazione di diritto privato per ricevere e coordinare da Palazzo Chigi i futuri finanziamenti Next Generation Eu per il digitale benissimo. La fondazione è per definizione in chiaro e può essere utile per coinvolgere e aggregare imprese e università in progetti innovativi. Ma allora perché includere il ministro dell’Università ed escludere il ministro Paola Pisano nonché  il neonato dipartimento Innovazione tecnologica della presidenza del Consiglio? La fretta è come sempre cattiva consigliera.

Il lettore avrà notato che ho sempre parlato di Digital Silk Road e non di Via della seta tout court.

Non da oggi sono profondamente convinto che sia giusto ed utile cooperare con la Cina sia sul piano economico, ambientale, scientifico e culturale. Numerosi progetti della Via della seta possono costituire preziose opportunità per le imprese (e per le università)  italiane ed europee.

Il digitale merita maggiore attenzione discernimento. Al di là delle implicazioni per la sicurezza nazionale ed euroatlantica occorre prendere atto che il concreto funzionamento della società digitale cinese è culturalmente molto lontano dai principi fondamentali della nostra Carta costituzionale.

Non voglio certo sindacare le legittime scelte di altri Paesi, ma semplicemente raccomandare molta attenzione a noi stessi. La rivoluzione digitale con la onnipotenza dei Big Tech (Amazon, Google, eccetera) già rischia di attentare alle libertà fondamentali conquistate al prezzo di tre grandi rivoluzioni (inglese, americana e francese).

Nel mondo bipolare che sempre più nitidamente si profila all’orizzonte ignorare le differenze siderali tra regimi democratici e regimi totalitari sarebbe un atto di irresponsabilità verso i nostri figli e nipoti.

Il primo passo per un efficace cooperazione internazionale è sempre il riconoscimento e il rispetto delle differenze e la volontà di non imporre modelli.

L’esperienza ci insegna che chi vuole esportare la democrazia non fa altro che innescare violenza e guerre sanguinose. Ma vale anche il contrario. Importare pratiche dittatoriali  (anche senza accorgersene e solo per via digitale) può minare le basi stesse del sistema democratico.

Nella tragica emergenza che stiamo vivendo la parola chiave è responsabilità. Spetta al presidente del Consiglio la responsabilità di non decidere in solitudine, ma di costruire con pazienza e determinazione il più largo consenso su temi costituzionalmente rilevanti e politicamente controversi come quelli a cui ho sommariamente accennato in questo articolo.


×

Iscriviti alla newsletter