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Terremoto Irpinia, diario di una tragedia italiana. Il ricordo di Reina

La scossa, il buio, le grida, il terrore. Raffaele Reina apre il cassetto dei ricordi e ripercorre le ore di dramma del terremoto in Irpinia, la spasmodica attesa dei soccorsi, il volto buono dell’Italia che ha saputo rialzarsi. Quarant’anni dopo, un insegnamento che resta vivo

Mai potranno essere dimenticati quei fatidici momenti del 23 novembre 1980 in Campania: Avellino, Benevento, Salerno, Napoli. Erano le 19,34 di una tranquilla serata domenicale, mi trovavo a passeggiare con un mio amico per il rinomato viale Augusto di Napoli, all’improvviso iniziammo ad ondeggiare senza capire il perché, solo gli urli della gente che scendeva dalle proprie case di corsa, senza meta, mi fecero intuire che qualcosa di grave fosse accaduto: si trattava di un terremoto.

I brevi pareri della gente più anziana ipotizzavano un fenomeno tellurico devastante. Mi avviai di corsa a casa dove c’erano mio figlio, piccolissimo e ignaro, e mia moglie. Aperta la porta vidi nei suoi occhi la paura, lo sgomento, abbracciai entrambi cercando di dare coraggio a mia moglie. La televisione ancora dava notizie approssimative, frammentarie e incomplete.

Pensavo sempre alle parole della gente più adulta che per esperienza sospettava un fenomeno devastante. Ero preoccupato per i miei genitori che in quel periodo abitavano a Bellosguardo, un piccolo paese del Cilento confinante con la provincia di Potenza e poco lontano dall’area del “cratere”. Non riuscivo ad avere notizie, fino a quando un militare della caserma dei “santi” Carabinieri rispose al telefono e mi dette notizie confortanti.

Mi misi in contatto immediatamente, con impensata fortuna, perché le comunicazioni telefoniche erano saltate, con gli uffici della presidenza della regione Campania, dove collaboravo con il presidente del tempo, Emilio De Feo, profondo cristiano, sempre pronto ad aiutare il prossimo.

Seppi che era partito, senza autista e scorta, con la sua auto privata per le zone del sisma accompagnato dall’ingegnere Paolo Martuscelli provveditore alle opere pubbliche della Campania. Si portò verso Avellino e alcuni comuni di quella provincia. Teora, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto. Nel salernitano furono disastrati i comuni di Castelnuovo di Conza, Laviano, Colliano, Romagnano al Monte, San Gregorio Magno, Santomenna, Valva.

Al suo ritorno, de Feo raccontò fatti raccapriccianti: gente sotto le macerie che chiedeva aiuto, donne e uomini disperati che piangevano i loro morti, la casa distrutta, piccole aziende e botteghe artigiane spazzate via. Nelle parole e negli occhi di De Feo vedevo l’immane tragedia. Si iniziò a istituire la centrale dei soccorsi in maniera disordinata e confusa, non si era neppure certi della bontà delle iniziative assunte.

L’arrivo del commissario al terremoto nella persona di Giuseppe Zamberletti fu il primo atto di organizzazione razionale dei soccorsi. Se vennero evitati ulteriori danni nei momenti iniziali della tragedia lo si deve all’onorevole Zamberletti, al presidente della regione Campania, ai tanti sindaci dei comuni colpiti dal terremoto. Un terremoto che la storia ricorderà per la vastità dei territori colpiti e per le migliaia di persone morte: 2914 morti, 8848 feriti, 280000 sfollati sono alcuni numeri di un funesto bilancio. Il Sommo Pontefice, papa Francesco e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno voluto ricordare i quarant’ anni di quella devastante catastrofe, sperando che gli uomini ne prendano coscienza e ne traggano valido insegnamento.

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