Cosa succederà nel mondo mediorientale se fosse riconfermato Donald Trump alla guida degli Usa è per certi versi già tracciato: il solco è quello degli Accordi di Abramo e dell’ingaggio totale contro l’Iran. Ma se vincesse Biden? Le risposte di Cinzia Bianco (Ecfr)
Da una parte gli Accordi di Abramo, l’intesa per la normalizzazione dei rapporti diplomatici (e politico-economici e commerciali) tra Israele e alcuni paesi del Golfo – tra questi gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e in via di allargamento al Sudan e altre roccaforti musulmane. Un tentativo di lasciare il segno nel futuro di una regione che resta turbolenta; tentativo su cui la presidenza Trump ha giocato un ruolo di mediazione decisivo; tentativo discusso e criticato, controverso come molta dell’azione politica dell’attuale Casa Bianca, che comunque resterà come un passaggio di carattere storico. Se Donald Trump dovesse essere riconfermato alla guida della più grande potenza del mondo – il Paese ancora in grado di smuovere gli equilibri globali – è del tutto presumibile che nel Medio Oriente si seguirà questo solco già tracciato: si cercherà di estirpare le erbacce e di coltivarlo con cura. Chiaro che c’è un interesse strategico, ossia tornare ad approfondire la sfera di influenza per evitare che porzioni della stessa vengano sottratte dalla Cina (e in parte dalla Russia); chiaro che c’è la dimensione tattica del contrasto all’Iran, nemico americano e di tutti quei Paesi con cui Washington ha allacciato i nuovi accordi (su tutti chiaramente l’Arabia Saudita, che per dimensione e ruolo nel mondo sunnita non può permettersi di stringere un accordo diretto con Israele, pur avallandone perfettamente lo spirito).
E se la vittoria di Usa2020, dall’altra parte, dovesse finire in mano al contender democratico Joe Biden, cosa succederà nel quadrante mediorientale? “Dato che il team di Biden ha dichiarato di sostenere un approccio diplomatico per allentare le tensioni nel Golfo, la sua elezione potrebbe creare slancio per perseguire un dialogo sulla sicurezza regionale, compresi i colloqui tra Arabia Saudita e Iran, qualcosa che gli europei hanno a lungo sostenuto, in particolare per quanto riguarda Yemen e Iraq”, risponde a Formiche.net Cinzia Bianco, esperta di Golfo e Medio Oriente dell’Ecfr di Berlino. L’ottica è quella di rinnovamento o rinvogorimento dello spirito dietro al Jcpoa, l’accordo sul nucleare militare iraniano, che sebbene si tratti di un’intesa tecnica aveva l’obiettivo meno esplicito ma più profondo di portare a un’architettura di sicurezza nella regione. L’uscita unilaterale voluta da Trump, e una serie di passaggi aggressivi dell’Iran, hanno invece inasprito le tensioni nel corso degli ultimi due anni. L’occhio di Bianco cade anche sul ruolo dei paesi europei: che avranno il compito di “consolidare il messaggio secondo cui la diplomazia rafforzerà piuttosto che minare gli interessi di sicurezza più ampi dei paesi del Golfo”, e in questo i paesi Ue “dovrebbero cercare di svolgere un ruolo attivo” in collaborazione con gli Usa di Biden, anche attraverso il continuo dispiegamento della missione marittima EMASoH nello Stretto di Hormuz.
Per Bianco, visto il “fallimento della massima pressione”, ossia della strategia con cui l’amministrazione Trump voleva soffocare l’Iran fino a farlo implodere (cosa che è tutt’altro che successa: nonostante i problemi Teheran ha dimostrato grande capacità di resilienza), è possibile che un cambiamento possa portare gli europei a esplorare nuovi impegni. D’altronde, ricorda l’analista dell’Ecfr, “sia gli Emirati Arabi Uniti che l’Arabia Saudita hanno già ripristinato alcuni canali di sicurezza con l’Iran per prevenire un’ulteriore escalation regionale”. “Riad – aggiunge Bianco – potrebbe mostrare ulteriore flessibilità data la sua necessità di rafforzare una posizione di disagio con l’amministrazione Biden. In qualità di candidato alla presidenza, Biden ha offerto parole dure sulla spericolata politica regionale dell’Arabia Saudita e sul comportamento del principe ereditario Mohammad bin Salman“.