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Per uscire dalla crisi ci vuole metodo

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Nelle analisi sullo stato di salute della nostra economia si ripete da tempo la litania secondo cui la nostra produttività è troppo bassa. Su questo vale la pena fare un paio di considerazioni, guardando il problema dal punto di vista del costo del lavoro. L’analisi di Massimo Balducci

Recentemente il ministro Gualtieri (poi ripreso simpaticamente da Crozza) ha dichiarato di essere rimasto sorpreso dalla complicazione barocca con cui le sue decisioni vengono messe in opera dalla macchina amministrativa. A chi è del mestiere questa affermazione fa subito pensare che nella nostra amministrazione urge introdurre la logica del processo.

Nelle analisi sullo stato di salute della nostra economia si ripete da tempo la litania secondo cui la nostra produttività è troppo bassa. Sulla bassa produttività del sistema Italia vale la pena fare un paio di considerazioni, considerando il problema dal punto di vista del costo del lavoro.

Orbene il costo del lavoro può essere considerato da due prospettive diverse: il costo orario del dipendente e la percentuale del costo del lavoro sui costi totali per unità di prodotto (CLUP). Se prendiamo in considerazione la prospettiva del costo orario scopriamo che il nostro dipendente costa più o meno quanto in Francia e nello Uk e che costa sensibilmente meno del dipendente tedesco e del Benelux. Scopriamo anche che il nostro dipendente lavora molte più ore (ca. 1.700 annue) del dipendente tedesco (ca. 1.500 ore annue). Datori di lavoro e lavoratori dovrebbero condividere una certa soddisfazione. Le cose cambiano se consideriamo il costo del lavoro come Clup: in Italia la percentuale del costo del lavoro sui costi totali si aggira mediamente tra il 50% e il 60%, in Francia tra il 30% e il 35%, in Germania intorno al 20%. Ecco una chiave per capire la nostra bassa produttività. Lavoriamo tanto (contrariamente a quello che vorrebbero certe leggende metropolitane) ma rendiamo poco. La farraginosità barocca non è esclusiva della nostra pubblica amministrazione ma si ritrova anche nel privato. La buon’anima di mia suocera diceva: “Fare e rifare è sempre lavorare ma non è intelligente”. Chi conosce il nostro mondo produttivo sa che alla confusione è lasciato troppo spazio nella nostra impresa. Anche qui emerge in maniera lampante la necessità di razionalizzare e fluidificare i nostri processi lavorativi.

Ma cosa si intende per processo lavorativo? Chiunque sia coinvolto in una attività lavorativa deve costantemente rispondere a questa domanda: ora cosa devo fare? Il premio Nobel per l’economia H. A. Simon sosteneva che il coordinamento dell’attività umana è garantito da una serie di meccanismi che riducono la complessità di chi è chiamato a prendere queste decisioni. Questi “meccanismi di riduzione della complessità decisionale” sono 4 e possono essere considerati come una coppia di due coppie. Da una parte abbiamo la prima coppia di meccanismi di riduzione della complessità decisionale: la gerarchia e la tradizione: di fronte ad un qualsiasi evento l’operatore chiede al suo “capo” cosa fare (meccanismo gerarchico); se si ripresenta in futuro un caso uguale l’operatore non disturba più il capo e ripete il comportamento di risposta che gli era stato comandato la volta precedente (meccanismo della tradizione). Da un’altra parte abbiamo la seconda coppia di meccanismi di riduzione della complessità decisionale: la professionalità e i processi: Di fronte ad un qualsiasi evento l’operatore fa prima riferimento a che cosa prevedono i processi codificati per il caso che gli si presenta e, poi, alle sue conoscenze e competenze professionali. Nel caso della prima coppia il quadro normativo rispetta la struttura “chi ha potere/autorità su cosa” (esempio: responsabile del magazzino è il sig. Rostagno); nel caso della seconda coppia il quadro normativo si rifà alla struttura “ogni volta che.., allora…” (esempio: ogni volta che arriva una consegna il responsabile di magazzino verifica se corrisponde all’ordine) (cfr.).

Dove predomina il meccanismo gerarchia/tradizione il vertice è chiamato ad autorizzare preventivamente ogni operazione. Dove prevale il meccanismo processi/professionalità il responsabile gerarchico deve intervenire solo quando si presenta un caso mai presentatosi prima e non ricompreso nel regolamento del processo. Compito del dirigente è coordinare, programmare e aggiornare i processi.
Se vogliamo uscire dal pantano in cui ci troviamo da diversi decenni (il Covid-19 ha solo accentuato l’effetto sabbia mobile) dobbiamo muoverci decisamente e con convinzione verso una modernizzazione delle nostra cultura organizzativa e del lavoro, spingendo verso i processi. Si badi bene processi che devono essere co-creati da tutti i personaggi coinvolti e non devono essere imposti dall’alto in maniera tayloristica.

Qui non posso fare a meno di pensare che il piano Marshall alla fine della seconda guerra mondiale non si limitò ad iniettare risorse finanziarie nell’economia del dopoguerra ma sviluppò tutta una serie di attività di capacity building miranti a diffondere la cultura del lavoro per processi nel nostro tessuto produttivo. Il mio editore Franco Angeli ebbe occasione di dirmi che era nato come editore proprio grazie a dei programmi del Piano Marshall che prevedevano lo sviluppo e la diffusione di manuali operativi proprio per diffondere la cultura del lavoro per processi. C’è da chiedersi se i programmi di Next Generation Eu non dovrebbero prevedere, similmente al piano Marshall, una serie di attività di capacity building miranti a diffondere la cultura del processo. Del resto, se non trasformiamo la nostra organizzazione del lavoro in una organizzazione per processi, non potremo mai realizzare uno dei pilastri del Next Generation Eu e cioè la digitalizzazione dell’economia (cfr.).

Nel campo della Pubblica amministrazione dovremmo ripescare l’esperienza estremamente positiva realizzata dall’Ing. Billia negli anni ’80 prima all’Inps e poi all’Inail. Qui l’ing. Billia riorganizzò l’attività di questi due enti, che erano agonizzanti, per processi. In questo modo poté decentrare versi il basso il potere di firma (di fatto oggi gli atti vengono firmati da funzionari) lasciando ai dirigenti la funzione di programmare e coordinare il lavoro, liberandoli, quindi, dal carico di dover controllare ed approvare con la loro firma ogni pratica. Questa esperienza, anziché essere generalizzata all’intera amministrazione, è stata progressivamente affossata. Prima con la Legge 241 del 1990 che al comma 1 dell’art 5 prevede la scissione del responsabile di procedimento (chi prepara la decisione amministrativa) dal responsabile di provvedimento (chi prende la decisione) e dall’art 17 del Dlgs 165 del 2001 che impone la firma di un dirigente per ogni atto a valenza esterna (cfr.) .

Se nel settore pubblico l’esortazione consiste nel valorizzare l’esperienza di Inps e Inail, nel campo del mondo produttivo molte sono le imprese che hanno interiorizzato la cultura del processo. A queste imprese leader va l’esortazione di diffondere la loro cultura, magari usando come volano le associazioni di categoria che, attualmente, sembrano attraversare una grossa crisi di identità.

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