Gli scatti, i flash, quella ricerca di gloria e fama che gli lasciava addosso un velo di tristezza. Umberto Pizzi racconta Diego Armando Maradona, il re del calcio scomparso a 60 anni. Il rapporto coi paparazzi e il grande pubblico, l’allenamento a Trigoria, la sua Napoli, “per Arbore era come San Gennaro”
“Aveva una luce addosso. Une lumière, direbbero i francesi”. Umberto Pizzi scorre il suo archivio di foto di Diego Armando Maradona. Il Pibe de Oro si è spento a sessant’anni per un arresto cardiocircolatorio nella sua casa di Tigre, in Argentina, dove stava trascorrendo la convalescenza dopo l’intervento chirurgico alla testa di poche settimane fa. Con lui si ferma il mondo del calcio, anzi il mondo intero, rintronato da una notizia che nessuno voleva sentire in questo 2020 denso di drammi e illustri scomparse.
Con il cordoglio si affollano le immagini, gli scatti dentro e fuori dal campo del più grande calciatore di sempre. Quelli iconici che lo hanno consacrato alla storia dello sport. E quelli più discreti, che raccontano un genio del pallone pieno di fama, gloria, e tristezza. “Era un essere fuori dalla normalità – racconta Pizzi, il più famoso fotografo e fotoreporter romano, ottantadue anni e una vita intera dietro l’obiettivo, a immortalare re e principesse, ministri e prostitute, star della musica e del cinema.
C’è anche lui, Diego Armando, nel rullino che consegna oggi a Formiche.net. “Ho immortalato tutti i grandi. Ho pizzicato pure Pelè. Ma nessuno era come lui. Non era simpatico. Era sempre molto scostante. I fotografi li trattava male, anche perché gliene facevamo di tutti i colori. Eravamo tutti maledettamente attratti dalla sua genialità”.
Mentre prosegue il tamburellio delle agenzie stampa, ancora incredule, Pizzi fruga nel cassetto dei ricordi di una vita sul marciapiede. Eccolo Maradona, orecchino e ricciolo nero, smoking e una bella donna bionda al suo fianco, che sorride imbarazzato alla fotocamera.
“La sera era sempre elegante, impeccabile. Qui era al teatro San Carlo di Napoli. Stette tutto il tempo seduto, sospettoso. Adorava le telecamere e le temeva al tempo stesso. Gli mettevano paura”. Perché? “Aveva negli occhi una tristezza riflessa. Ma sul campo tutto spariva”.
A Roma veniva spesso, “per un periodo si è venuto ad allenare a Trigoria, io riuscii a intrufolarmi e incontrarlo, mi aiutò un’amica che ci lavorava”, racconta Pizzi. “Quando si sapeva che c’era lui, partiva la ressa. Gli piaceva essere idolatrato, sentire il click degli obiettivi addosso. Una sera venne a ritirare un premio al Teatro Sistina, si fece fotografare per dieci minuti consecutivi”. Tombeur de femmes, neanche a dirlo. “Da quando è arrivato a Napoli non è mai stato lasciato in pace. Le donne lo cercavano, era un idolo. Con lui non avevi scampo, sangue argentino”.
L’ultimo incontro di recente, già spossato dall’età, i malanni, e qualche scelta sbagliata sul groppo che era il primo a riconoscere, e ad esorcizzare. “Eccolo qui. In uno studio della Rai, insieme a suo figlio. Erano uguali, di carattere intendo. Fece due palleggi, al solito: la palla era un’estremità del suo corpo”.
Diego Armando Maradona, continua il fotografo, c’era anche quando era assente. In quante chiacchiere mondane dei vip napoletani, amanti o meno del calcio, era lui il convitato di pietra. “Perfino con un Renzo Arbore, quando parlavi di lui, parlavi di San Gennaro. Guai a dire qualcosa contro. Rischiavi la tua incolumità. Gli volevano un gran bene, nonostante tutto”.