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Dal Bataclan a Vienna. Analisi del (nuovo) terrorismo insurrezionale

Di Claudio Bertolotti e Chiara Sulmoni

Claudio Bertolotti (direttore di Start InSight e dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo, ReaCT) e Chiara Sulmoni (presidente di Start InSight) analizzano l’attacco a Vienna alla luce dei precedenti attentati in Europa: strutturato e coordinato, ma meno efficace. È “un terrorismo, nuovo e insurrezionale, che si impone come fenomeno sociale e che si basa su azioni individuali ed emulative”

L’attacco di Vienna del 2 novembre è il terzo atto di violenza jihadista dal 2018 a oggi, ma è il primo attacco strutturato e “complesso” che viene portato a compimento in Austria. A differenza delle due precedenti azioni terroristiche, di tipo individuale, emulativo e dalla bassa capacità operativa, così come lo sono stati gli ultimi attacchi in Francia (Parigi e Nizza), quello di Vienna è un vero e proprio attacco strutturato e coordinato, a dimostrazione di una volontà e una capacità operativa tutt’altro che sopita. Un attacco che si allinea a quello a Parigi del 13 novembre 2015 e di Bruxelles del 22 marzo 2016 ma che, riportandoci alle analisi di quei due eventi, mette in evidenza elementi comuni ma anche sostanziali differenze.

DALLA FRANCIA ALL’AUSTRIA: COSA È CAMBIATO?

L’attacco a Vienna conferma la volontà del terrorismo jihadista di colpire l’Occidente nei suoi simboli, laici e religiosi. Sono i simboli di un’identità europea: locali di ritrovo mondano, chiese e sinagoghe. Sono dunque azioni violente dal forte carico simbolico ed emotivo, in quanto colpiscono la nostra quotidianità e la cultura occidentale, cercando di imporre un cambio delle nostre abitudini. Questo è un elemento comune tra gli attacchi alla Francia e quello di Vienna ma ciò che emerge più nettamente, contrariamente alle apparenze, è la ridotta efficacia degli attentatori in Austria.

Da un lato, se vi è una dimostrata capacità di sfuggire ai radar dell’intelligence – la maggior parte degli attacchi sventati da Europol nel 2019 implicava più persone – e la confermata possibilità di accesso del terrorismo al mercato clandestino di armi da guerra, emergono però l’incapacità di acquisizione e l’incompetenza tecnica di confezionamento e utilizzo di esplosivi: a Vienna i terroristi non utilizzano esplosivi, a differenza di quanto avvenuto a Parigi e Bruxelles, bensì simulacri di cinture esplosive per aumentare l’effetto terrore e tenere lontane le forze di sicurezza, ma nulla di più. Un elemento ricorrente a un numero crescente di eventi di natura jihadista in Europa.

Dall’altro lato, l’episodio viennese mette in evidenza la limitata capacità di condotta di azioni di “guerriglia urbana”: a Parigi i jihadisti hanno dato prova della loro preparazione combattendo e provocando un elevato numero di vittime (130 morti e 413 feriti); a Vienna invece i terroristi hanno optato per la fuga – uno è stato ucciso in azione – dopo aver provocato la morte di 4 persone e il ferimento di altre 17. È evidente quanto “il risultato” dell’azione sia di molto inferiore a quella di Parigi.

E questo è il risultato di una scarsa conoscenza delle tecniche di utilizzo delle armi: osservando il video del terrorista in fuga che spara per le strade della città, si vede come questo maneggi l’arma in maniera casuale, con il fucile al fianco e un borsello a tracolla che lo intralcia nei movimenti, con ciò dimostrando di non sapere utilizzare l’arma in modalità di combattimento, né di indossare l’equipaggiamento in maniera funzionale.

Gli stessi terroristi sono diversamente motivati e spinti all’azione: a Parigi e Bruxelles è evidente la ricerca del martirio; a Vienna invece i soggetti sopravvissuti si sono dati alla fuga.

Dunque, da una prima analisi emerge una capacità comunque molto ridotta rispetto ai risultati che i terroristi hanno ottenuto a Parigi e Bruxelles, nel momento di massima espansione territoriale e mediatica del cosiddetto Stato islamico. Ma la una ridotta capacità è compensata dalla confermata volontà di colpire in risposta agli appelli al jihad.

GLI APPELLI A COLPIRE L’EUROPA

Ciò che emerge, andando a leggere quanto gli stessi jihadisti hanno scritto e diffuso, sono gli appelli a colpire attraverso le azioni dei commando. Proprio il 2 novembre al-Qa’ida nel Maghreb islamico ha chiesto di attaccare e uccidere chiunque abbia commesso atti di blasfemia nei confronti del Profeta. Un appello che si pone in linea con al Naba, la newsletter dello Stato Islamico, che l’aveva preannunciato sotto forma di domanda retorica durante il primo lockdown per il contenimento della pandemia da Covid-19 (menzionando proprio gli attacchi di Parigi e Bruxelles).

E il 2 novembre, a Vienna, era l’ultimo giorno per agire confidando in un risultato dal maggiore impatto mediatico: dal giorno successivo le nuove misure di lockdown avrebbero portato alla chiusura dei locali pubblici e dunque limitato il numero di obiettivi – i civili nei locali pubblici e per le strade – e dunque il risultato sperato.

COSA DOBBIAMO ASPETTARCI?

Il terrorismo ha perso parte di quella capacità tecnica che lo ha caratterizzato nel periodo 2015/2017, ma l’appello di al-Qa’ida non deve indurci a fare sonni tranquilli poiché potrebbe preannunciare possibili ulteriori eventi violenti in arrivo, sia da parte di terroristi home-grown, sia di jihadisti che potrebbero giungere in Europa sfruttando le rotte migratorie, sia attraverso il Mediterraneo, sia attraverso i Balcani.

Quello a cui stiamo assistendo è la naturale evoluzione del terrorismo europeo, un fenomeno che si pone all’interno di uno scenario di conflittualità globale e “denazionalizzata” attraverso il perseguimento di finalità politiche e con una connotazione insurrezionale che, pur non ambendo a mobilitare le masse di jihadisti, sul piano ideologico e della narrativa propagandistica mira ad indurre il maggior numero possibile di individui ad aderire alla strategia della violenza diffusa.

Un terrorismo, nuovo e insurrezionale, che si impone come fenomeno sociale e che si basa su azioni individuali ed emulative – in linea con il concetto teorico di “jihad individuale” di “mujaheddin solitari” che assumono il ruolo di singole parti di una grande offensiva – che concettualmente affonda le sue radici nell’ideologia sviluppata da al-Qa’ida.


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