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A Baghdad si sfiora lo scontro Iran-Usa. Ecco perché

Notte di tensione a Baghdad. Il confronto tra Washington e Teheran è in equilibrio su un filo sottile che diverse forze in campo potrebbero (o vorrebbero) tagliare destabilizzando il Medio Oriente

Venerdì sera lungo le strade di Baghdad è stata fotografata una lunga colonna di mezzi Humvee dell’antiterrorismo, e il premier iracheno, Mustafa al Khadimi, ha lasciato la sua residenza per recarsi (iper-scortato) a fare visita agli uomini della sua unità d’élite.

Notizie in merito già circolavano da giorni e descrivevano un’atmosfera tesissima legata a un annuncio minatorio della Lega dei Giusti, che aveva preannunciato un attacco contro gli americani durante la notte. L’organizzazione AsaIb Ahl al Haq ha una delle più aggressive milizie sciite che dall’Iraq si muovo attraverso l’eterodirezione iraniana. Le autorità irachene avevano arrestato in serata un esponente del gruppo ritenendolo coinvolto nel grande attacco subito dall’ambasciata statunitense nella capitale irachena la sera del 20 dicembre (una salva di una ventina di razzi che ha colpito la zona del compound diplomatico uccidendo un civile iracheno che abitava nell’area).

I Giusti si sono dichiarati innocenti, ma hanno annunciato comunque di aver rotto la tregua con gli Usa. Gli americani hanno messo in mobilitazione Al Udeid, la grande base fuori Doha che fa da hub del comando regionale del Pentagono, il CentCom. Una decina di Stratotanker si sono alzati in volo sopra all’Iraq e hanno tenuto accesi i trasponder per essere individuati: le aero-cisterne significano che i cacciabombardieri sono in missione.

Ed è di per sé una risposta chiara all’annuncio dei miliziani sciiti: muovetevi a vostro rischio e pericolo. In questi giorni in Medio Oriente gli americani hanno mandato diversi altri messaggi, per esempio quando hanno diffuso una foto di un sommergibile nucleare Classe Ohio davanti all’Iran – una rarità.

La tregua di cui parlano i Giusti è un accordo informale per cui le milizie avrebbero sospeso le continue attività di disturbo con cui colpiscono l’ambasciata e in generale gli americani in Iraq. Un ingaggio costante e a bassa intensità che la fazione dei Pasdaran più legata all’industria militare ha interesse a mantenere attivo, attraverso il ricorso a proxy regionali. L’Iraq, dove 3000 soldati americani hanno mantenuto le postazioni dopo l’Occupazione anche perché c’è stato da combattere il Califfato (il 15 gennaio 500 di loro dovrebbero rientrare), è un territorio ottimo per lo sfogo di queste dinamiche.

A Teheran c’è una maggioranza che vorrebbe tenere tutto fermo almeno fino al cambio di amministrazione, per questo un paio di mesi fa ha chiesto alle milizie di sospendere le azioni. Si tratta di gruppi iracheni ormai pesantemente armati e sempre meno inclini a subire l’eterodirezione dall’esterno.

Gruppi che peraltro sono divisi anche a causa di questa influenza. Secondo il Grande Ayatollah Ali Sistani è una situazione non più sostenibile. Per questo in rotta con l’Iran ha fatto uscire i gruppi che controlla dal sistema di direzione congiunto delle milizie irachene, la Forza di mobilitazione popolare che era stata creata per combattere l’Is ed è rimasta in piedi come meccanismo di coordinamento. Venerdì, per evitare che la situazione scivolasse verso una deriva incontrollabile — gli americani hanno già detto di considerare l’Iran responsabile di qualsiasi vittima statunitense in Iraq causata dalle milizie. Alti ufficiali della Badr Organization e della Kataib Hezbollah hanno trovato modo di trattare e questi altri due gruppi filo-iraniani hanno evitato che i Giusti compissero atti avventati.

Il punto sta nelle divisioni tra milizie in Iraq, che metteno il Paese al centro del confronto Usa-Iran, ma anche nelle divisioni a Teheran, dove c’è un governo pragmatico che aveva già aperto al negoziato con Washington sul nucleare cinque anni fa, un parlamento guidato dai conservatori che hanno una posizione più dura ma sostanzialmente attendista, e un gruppo di potere (politico, economico e militare) iper nazionalista che chiede il costante scontro con gli Usa a bassa intensità — più per ragioni di interesse che di ideologia.

Davanti al rischio che il prossimo presidente statunitense, Joe Biden, rilanci un approccio dialogante con Teheran, viene alzata la posta. Ogni genere di attività aggressiva contro gli Stati Uniti complicherebbe il percorso (già complesso) pensato da Biden. L’eterodirezione dei proxy iracheni non è dunque lineare, e quegli stessi proxy sono in competizione: il rischio caos è evidente.

Queste componenti più aggressive in Iran così come le emanazioni regionali sanno che un eventuale dialogo con gli Usa porrebbe un problema esistenziale, rivitalizzando i pragmatici che hanno scelto una via più moderata. Anche per questo quelle fazioni dei Pasdaran cerca spazio sui media iraniani per lanciare proclami anti-americani e lo fa scegliendo l’anniversario della morte del generale Qassem Soleimani, ucciso il 3 gennaio dello scorso anno in un raid aereo americano mentre si trovava a Baghdad.

La vendetta per l’eliminazione di Soleimani – capo dell’élite Quds del corpo militare teocratico, ma soprattutto stratega epico dell’espansionismo iraniano nella regione molto conosciuto e rispettato – serve ad aumentare la presa tra i cittadini della Repubblica islamica e tra i giovani dei gruppi regionali collegati.

Una chiamata che non sempre trova risposta: sia in Iraq che in Iran negli ultimi due anni ci sono state diverse proteste contro questa linea aggressiva sostenuta dai Pasdaran e dai propri proxy. A Washington la linea antiamericana trova sponda politica, perché l’attuale amministrazione ha alzato molto il livello di confronto con l’Iran, e il presidente uscente potrebbe essere intenzionato a chiudere lasciando in eredità un ostacolo sulla via del dialogo tracciata da Biden.

Tutti elementi che concorrono ad accendere i riflettori internazionali sull’Iraq in questi e nei prossimi giorni, perché i presupposti per l’escalation sono diversi – e il rischio è un’ulteriore destabilizzazione di un quadro regionale già instabile (venerdì sera, mentre a Baghdad c’era allerta massima, anche il confine Iraq-Siria è stato messo sotto controllo, mentre qualche giorno fa caccia probabilmente israeliani hanno bombardato in Siria una postazione usata dalle forze di Hezbollah, un’altra grande milizia sciita con enormi rapporti con l’Iran che si muove ai massimi livelli del potere libanese).

(Foto: un’immagine diffusa dalla Lega dei Giusti sui social network)



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