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Al voto? Una balla spaziale. Il commento di Roberto Arditti

Un Parlamento ridotto a metà, la pandemia, il verdetto (impietoso) dei sondaggi, i fondi Ue. Non c’è un solo buon motivo per andare al voto anticipato, che infatti è solo l’ultima puntata della fiction rossogialla. Il commento di Roberto Arditti

Quando si arriva nei dintorni di una crisi di governo tutto (o quasi) è lecito per difendere il proprio punto di vista (o il proprio ruolo), quindi non abbiamo motivo di stupirci troppo.

È dunque comprensibile che molti membri del governo (Di Maio oggi su Il Fatto Quotidiano, ma anche Franceschini, Amendola, Boccia nei giorni scorsi) evochino il ricorso alle urne come possibile soluzione della verifica imposta alla maggioranza da Matteo Renzi e dal suo movimento politico.

Però abbiamo il dovere di essere chiari sul punto: se da un lato è comprensibile il ricorso “tattico” all’argomento, dall’altro va detto che l’ipotesi ha la stessa probabilità di verificarsi di quella che ha Donald Trump di diventare uno sfegatato attivista della sinistra radicale, cioè contrario alla diffusione della armi e favorevole alla sanità pubblica, con conseguente aumento delle tasse.

Insomma le elezioni anticipate (insistentemente evocate anche da molti di quelli che dialogano spesso con il Quirinale) sono certamente uno strumento di pressione verso Renzi, ma sono oggetto di una delle poche certezze che abbiamo: non ci saranno al 100%.

Questo è vero per almeno quattro buoni motivi, comprensibili a tutti e ben noti ai protagonisti.
Il primo attiene alla pandemia ovviamente, che sconsiglia il ricorso alle urne come strumento di soluzione dei problemi politici. Una nazione paralizzata nella quasi totalità delle sue attività può tranquillamente andare a votare alle fine dell’inverno mentre saremo nel pieno della sovrapposizione tra Covid-19 e influenza stagionale?

Nessuno può sostenere tale istanza senza essere prontamente oggetto di un Tso e nessuno sarebbe in grado di reggere il confronto Tv con Galli o Pregliasco sul tema.

Peraltro abbiamo disponibile una robusta prova a sostegno di questo ragionamento, poiché mentre gli alchimisti della crisi di governo si scambiano messaggi in codice da molte parti si comincia a ragionare di un rinvio del voto per le amministrative (pressoché certo per la Calabria), anche per effetto della sentenza su Virginia Raggi che complica in modo micidiale la situazione romana per Pd e M5S. Insomma le elezioni anticipate non hanno margini in primo luogo per ragioni sanitarie.

Poi c’è un tema tutto politico che riguarda da vicino i protagonisti di queste vicende (almeno alcuni). Elezioni a breve infatti finirebbero per far nascere un nuovo Parlamento, con equilibri radicalmente diversi. Ne uscirebbe un M5S assai ridimensionato (con conseguente diminuzione del ruolo dell’attuale ministro degli Esteri e di tutto il gruppo dirigente, Presidente della Camera in primis), un centro-destra con nuovi equilibri (a tutto vantaggio di Giorgia Meloni), una difficile sopravvivenza per i movimenti più piccoli, a cominciare dallo stesso partito di Renzi.

E poi sarebbe lo stesso premier Conte a dover cambiare pelle, sostanzialmente obbligato a scendere in campo direttamente (come leader della coalizione o, magari, di una forza politica autonoma).
Insomma le elezioni hanno ai vertici dei partiti pochi veri sostenitori.

C’è poi un terzo elemento assai importante, che si chiama Presidente della Repubblica.

Fra sei mesi infatti inizia il “semestre bianco”, che conduce all’elezione del Capo dello Stato all’inizio del nuovo anno. Con l’attuale Parlamento Pd e M5S hanno numeri dai quali non si può prescindere, quindi il tema è innanzitutto di loro pertinenza. Andando a votare invece si finirebbe per eleggere il successore di Sergio Mattarella con le nuove Camere, regalando così a Salvini, Meloni e Berlusconi una centralità oggi assai più sfumata (anche se non del tutto evanescente, considerando i delegati regionali).

Ora, qualcuno ritiene credibile che per fare un dispetto a Renzi i vari Zingaretti, Di Maio, Franceschini, Guerini (e così via) si comportino alla Tafazzi, riducendo il proprio ruolo d’influenza sul passaggio politico più importante di tutti?

Io non ci credo finché non lo vedo. Infine c’è il quarto “tassello”, tutto legato alla banale (ma solidissima) evidenza dei numeri.

Il prossimo Parlamento avrà 345 membri in meno, il che significa una cosa sola: quello esistente, prima di farsi mandare a casa, è pronto a tutto.

Amen.

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