Skip to main content

Brexit, chi vince e chi perde (aspettando Biden)

Dalle dogane all’erasmus, dalla concorrenza al turismo, ecco cosa cambia (e cosa no) fra Ue e Regno Unito con la Brexit. Ma una parola sul destino (commerciale e non solo) di Londra può ancora dirla Joe Biden. L’analisi di Mario Angiolillo

Alea iacta est, il rischio di un No Deal è stato scongiurato e, almeno per ora, le relazioni tra le due sponde della Manica saranno regolate dal Christmas Deal.

Si chiude così un complicato percorso avviato con il referendum del 2016, ma che affonda le sue radici ben più indietro nel tempo, nella stessa storia della terra d’Albione, o, per restare a tempi più recenti, nel celebre “I want my money back” pronunciato da Margaret Thatcher nel 1979.

Un percorso che ha attraversato due legislature europee e ha visto avvicendarsi tre premier britannici, David Cameron, Theresa May e Boris Johnson.

L’accordo di Natale, che dovrà passare al vaglio del Parlamento Europeo e della House of Commons ma che sarà comunque applicato in via provvisoria sin dal primo di gennaio, crea i presupposti perché possa mantenersi una “relazione speciale” tra Europa e Regno Unito, ma solo il tempo potrà dire quale ne sarà l’intensità.

Adesso sarà un po’ più difficile per i cittadini europei andare a vivere oltre Manica.
Per farlo necessiterà un visto, e si dovrà dimostrare di avere un lavoro, o un’offerta di lavoro, in grado di garantire un reddito di almeno 28 mila euro annui. L’obiettivo dichiarato di Londra, su questo punto, è infatti sempre stato quello di favorire una immigrazione qualificata, attraendo i “cervelli” in fuga dai Paesi dell’Ue. Per i turisti non sarà richiesto il visto, ma sarà previsto un limite di permanenza pari a tre mesi.

È stato salvaguardato il commercio, con l’accordo che prevede che non potranno essere introdotti dazi e quote, e questo è certamente un dato positivo considerando che attualmente l’interscambio commerciale tra le parti vale circa 700 miliardi annui, e di questi circa 40 miliardi riguardano l’Italia.

Bisogna però tenere in conto che verranno ripristinati i controlli doganali, e questo comporterà un incremento dei costi indiretti sui beni scambiati, ma è garantita l’assenza di una barriera fisica al confine tra le due Irlande.

Viene determinato un sistema che tende all’equivalenza nella gestione dei servizi finanziari, stabilendo che ciascuna parte dovrà autorizzare i gestori di servizi finanziari dell’altra parte a rendere quei servizi che sono già consentiti ai propri gestori.

È questo un tema di evidente importanza vista l’entità degli scambi con Londra, che finora si è caratterizzata come prima piazza finanziaria d’Europa, e che probabilmente vedrà degli aggiustamenti progressivi.

L’accordo inoltre garantisce il mantenimento di una stretta cooperazione in materia di sicurezza internazionale, cyber security, contrasto alla criminalità e tutela della salute.

A rendere possibile il raggiungimento di questo accordo è stata l’intesa sui due punti più controversi, e tra loro strettamente collegati, che da tempo avevamo evidenziato come il vero terreno di scontro tra le parti: il level playing field, e le modalità di risoluzione delle controversie nel post Brexit.

L’intesa consta nel riconoscimento reciproco dell’importanza di una concorrenza leale in tema di tutela ambientale, diritti sociali e diritti dei lavoratori, ma senza richiedere al Regno Unito di uniformarsi alle regole dell’UE su queste materie, con entrambe le parti che potranno definire un proprio autonomo quando normativo.

Verrà mantenuta equivalenza di principi in tema di aiuti di stato, prevedendo la possibilità di una intesa separata per un maggiore coordinamento tra Commissione Europea e autorità garanti della concorrenza degli Stati Membri e del Regno Unito, ma a differenza di quanto accade oggi la valutazione delle sovvenzioni statali non sarà preventiva ma l’eventuale concorrenza sleale dovrà essere dimostrata e fatta rilevare a posteriori.

È questo chiama in causa il secondo punto cruciale risolto nelle ultime fasi delle trattative: la Corte di Giustizia Europea non sarà più competente nella risoluzione delle controversie tra le parti, ma verrà attivato un meccanismo arbitrale.

Difficile stabilire oggi chi abbia ottenuto di più nella negoziazione di questo accordo.
Di certo è stato raggiunto l’equilibrio possibile tra l’esigenza di mantenere inalterato l’attuale livello di scambi commerciali, in primis per il commercio di beni, esigenza cara ad entrambe le parti, la definizione di un minimo terreno comune in grado di scongiurare la corsa ad una concorrenza troppo spinta, obiettivo di Bruxelles, e l’autonomia decisionale, obiettivo di Londra e di quei Brexiteers che puntano a fare della capitale britannica la Singapore d’occidente.

È proprio quest’ultimo punto potrebbe rappresentare nell’immediato futuro un nuovo terreno di incontro tra le due parti.

Il Regno Unito, infatti, non più legato all’Unione Doganale dell’Ue, ha in corso numerose trattative finalizzate alla definizione di autonomi accordi di libero scambio con molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti.

Il raggiungimento di un accordo bilaterale tra Londra e Washington, che al momento sembra trovare il favore dell’ amministrazione Biden, potrebbe aprire la strada ad una più convinta ripresa dei negoziati per il Ttip, l’accordo transatlantico sul commercio e gli investimenti tra Ue e Usa, con l’obiettivo di stabilizzare ulteriormente le relazioni economiche e commerciali, e quindi anche politiche e diplomatiche, tra quelli che sono diventati i tre vertici di un ideale ponte sull’Atlantico, Washington, Londra e Bruxelles.


×

Iscriviti alla newsletter