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Quando il cinema racconta(va) il Natale

È il 28 dicembre 1895 la prima volta che i fratelli Lumière proiettano pubblicamente i primi cortometraggi. Per questa coincidenza qualche storico del cinema usa dire che il Natale 1895 portò la “nascita della vita riprodotta”. Ecco in questa ricorrenza tutti i film sulla Natività dal 1898 a oggi, analizzati da Eusebio Ciccotti

Come tutti sanno il cinema nasce ufficialmente quando i fratelli Auguste e Louis Lumière, lionesi, proiettano pubblicamente, con tanto di biglietto, i primi cortometraggi a Parigi, al Salon Indien del Gran Cafè, situato nel Boulevard des Capucines. È il 28 dicembre 1895. Per questa coincidenza qualche storico del cinema usa dire che il Natale 1895 portò la “nascita della vita riprodotta”. Se oggi possiamo vedere in diretta ciò che accade in ogni parte del mondo, compreso il papa che ci benedice durante la messa di Natale, lo dobbiamo alla invenzione dei fratelli lionesi.

Spetta proprio ai fratelli Lumière e ai fratelli Pathé, i primi produttori-artigiani francesi più ingegnosi, portare sullo schermo la Natività. In Passione e vita di Gesù Cristo (1898), catalogato come “film Lumière”, la vita del Salvatore è raccontata al pubblico in 13 quadri, ciascuno di 17 metri (circa 30 secondi): il primo era intitolato Adorazione dei Magi (gli altri: Fuga in Egitto; Arrivo a Gerusalemme; ecc.). La “Passion Lumière”, come fu subito ribattezzata (dallo storico francese Georges Sadoul), pesantemente teatrale, fu solo prodotta dai fratelli lionesi (noti per la “regia” del celeberrimo L’arrive d’un train a la Ciotat, 1896), poiché l’operatore-“regista” era Georges Hatot.

Di diverso peso estetico è La Vita e la Passione di Gesù Cristo (1903) di Ferdinand Zecca e Lucien Nonguet, Casa fratelli Pathé, di circa 40 minuti (un “colossal” per il tempo) composta di 27 quadri-episodi (quali L’Annunciazione, La santa Famiglia; ecc.). Nell’episodio della “Natività”, Zecca e Nonguet introducevano un concetto di sceneggiatura più articolata. Si fanno apprezzare la capanna, con il bue e l’asino (serenamente occupati a mangiar fieno), e, particolarmente, la scena della nascita di Gesù: i due santi genitori, Giuseppe e Maria, s’inginocchiano ai lati della vuota culletta per pregare l’Altissimo. Poco dopo, per trucco di sostituzione, appare il regale Bambinello.

Nel 1906, una delle prime donne registe, Alice Guy Blaché, insieme a Victorin Jasset, realizza per la Gaumont, La vie du Christ (32’). Nell’episodio dell’Adorazione dei Magi colpisce l’infante Gesù che continuamente muove i braccini (il piccolo attore è di certo sollecitato dal gran bailamme del set) per salutare i tre re, e i rispettivi servitori, intenti a omaggiarlo con plateali (e mediorientali) inchini e doni.

La produzione Usa del tempo (ancora legata all’East Coast) risponde al tema con un interessante From the Manger to the Cross (1912), diretto da Sidney Olcott, su sceneggiatura dell’attrice Gene Gauntier (è la Vergine), una trasposizione fedele al testo evangelico di Luca, utilizzato negli intertitoli. Il film ottenne un notevole successo, collezionò ottime recensioni, sia per la credibile recitazione sia per il set interamente ambientato in Palestina (curiosità: Giuda Iscariota è Roberto G. Vignola nato a Trivigno, Potenza, nel 1882, attore e regista, emigrato con la famiglia all’età di tre anni a New York). Nella prima “sequenza”, “The Annunciation and the Infancy of Christ”, abbiamo due “quadri” dedicati alla Natività. Dopo i pastori, in esterno, eccoci nella capanna: il neonato Gesù è già nella mangiatoia-culla, avvolto in panni candidi; al lato della “culla”, Maria indossa un velo bianco sul capo: il colore sottolinea la verginità del parto. Maria e Giuseppe, entrambi ripresi in Mezza Figura, ammirano il piccolo, felici ed emozionati; poi, Giuseppe volge il capo verso l’alto e prega. In secondo piano, ai lati, un bue e un asino, sereni, manducano.

La produzione italiana, pur in piena guerra, risponde con Christus (1916) del conte Giulio Antamoro (già noto alla critica per un avanguardistico Pinocchio, 1911). Le scene della fuga in Egitto, dei tre, con asinello e poi cammello, sono ambientate in Egitto, e l’introduzione di ampie panoramiche in campo lungo, conferiscono al film plasticità e azione. Stona, purtroppo, la nascita di Gesù in una capanna di paglia, come si costruiscono nelle campagne italiane, con sullo sfondo cipressi e salici. Pare che questa scena sia stata girata a Fondi. Probabilmente la scena della grotta girata in Egitto venne impressionata male. Antamoro, comunque, recupera sul versante culturale omaggiando la pittura italiana: da Beato Angelico (Annunciazione) al Correggio (Natività: interno- capanna).

Negli anni Sessanta incontriamo uno dei più begli incipit filmici dedicati alla notte di Natale in La più grande storia mai raccontata (1965, Georges Stevens). Qui, una sfolgorante stella nel cielo notturno, in Cll, si dissolve in una fiammella di un lume a petrolio in p.p., chiamata a illuminare una spaziosa stalla: un uomo sta preparando la paglia per un giaciglio (Giuseppe). Un braccino di un neonato si alza verso l’alto, è nato da poco, pare che ringrazi/indichi Qualcuno in cielo. Il braccino si dissolve in un dischetto dorato (rimanda, proletticamente, ad un’ostia) e, successivamente, nel disco solare. Due scene dopo ecco i Magi alla grotta/capanna: salutano il piccolo Re e Maria; la giovane donna ha un delicato velo cinquecentesco sul capo, se ne sta al lato della culla osservando il rispettoso omaggio dei tre re al piccolo Re.

Nel decennio successivo, nell’insuperato Gesù di Nazareth (1977), Franco Zeffirelli introduce la notte santa con dei pastori e i loro figli ritratti mentre indicano un’improvvisa brillante stella nella volta buia. La nascita di Gesù e resa con un campo/controcampo tra Maria con le doglie e Giuseppe mentre la rassicura con lo sguardo, sicuramente pregando. Nel taglio successivo, dopo il parto, Giuseppe prende in braccio il piccolo Gesù e solo dopo lo pone accanto alla Madre, stesa sul giaciglio a recuperare le forze, serenamente. Per la prima volta il cinema, teologicamente, sottolineava l’importanza della paternità adottiva accanto alla santa maternità.

In Nativity (2006, Catherine Hardwicke), ad oggi il più articolato film dedicato alla notte di Natale, tutto è immerso in un chiaroscuro realistico e pittorico di sapore caravaggesco. La regista, però, esagera nella sua lettura documentaristica e spettacolare: rapidi campi/controcampi in p.p.p. con Giuseppe “ostetrico” e Maria che suda e soffre come una normale partoriente. L’arrivo dei Magi, invece, è umile e lirico al contempo: davvero meravigliati dinanzi a qualcosa più grande di loro.

La luce di una stella (senza coda) prima “chiama” gli armenti facendo alzare le loro testoline verso il cielo, poi sveglia i pastori, mentre, in montaggio alternato, Maria nella capanna ‒ Giuseppe è andato a prendere “dell’altra acqua”‒ ha già dato la vita al Salvatore: è il delicato e poetico inizio di Maria di Nazaret (2012) di Giacomo Campiotti.

Accanto alla rievocazione biblica il cinema si getta anche sulle storie laiche ambientate nel tempo natalizio: una delle prime è Racconto di Natale (1913) da Charles Dickens per la regia di Cecil Hepworth. Per oltre un secolo, quanti natali abbiamo visto in contesti variegati e secondo differenti “tradizioni”? Eccoci con il Natale in città (Miracolo sulla 34° strada, 1947, di G. Seaton, Oscar 1948: qui due Babbo Natale, uno buono e l’altro perfido, si fronteggiano); Natale da reclusi (Natale al “campo 119”, 1948 di Pietro Francisci: un gruppo di soldati italiani festeggia un grigio Natale in un campo di prigionia in California).

Per molti amanti del cinema, l’autentico “racconto di Natale” per eccellenza, che lega magistralmente aspetto laico e religioso, è la storia di George Bailey (il bel James Stewart) tra vita dedicata agli altri, crisi, immaginato suicidio, angelo custode (“di seconda classe, ossia senza ali”), vita/non vita, dramma/gioia, tutto nella sera-notte del 24 dicembre: La vita è meravigliosa (1946, di Frank Capra). Da circa settant’anni proiezione natalizia delle tv di tutto il mondo; dal 2007 primo tra i cento migliori film americani “più commoventi” (American Film Institute). Un capolavoro nel quale il siculo-americano Frank Capra parlava “teologicamente” del momentaneo “silenzio di Dio” e della Sua grazia che arriva comunque.

Probabilmente, a oggi l’unico film sul Natale che riassume tutti i più importanti insegnamenti della “buona novella”, compreso quello della preghiera. Rivedetevi George che recita, disperato, il Padre nostro, sul ponte, per cercare di non volare giù nel gelido, travolgente, fiume.


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