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Le imprese zombie sono un problema. Ma la soluzione c’è. Parla Cipolletta

Intervista al presidente di Assonime: nel 2021 tante imprese non saranno in grado di stare sulle proprie gambe, su questo Draghi ha ragione. Per evitare una valanga di insolvenze serve ricapitalizzare le aziende con un Fondo alimentato da capitali pubblici e privati. Conte? Nessuno vuole una crisi di governo e poi in giro non vedo grandi alternative

Forse Mario Draghi ha davvero ragione. Nel 2021 tante aziende sopravvissute alla pandemia grazie a sussidi e credito bancario garantito dallo Stato, potrebbero non farcela. Con ormai gli aiuti pubblici agli sgoccioli, generare nuova cassa senza una ripresa ancora innestata sarà difficile. Le chiamano imprese zombie, cioè tecnicamente non fallite ma nemmeno capaci di stare in piedi con le proprie forze.

L’ex governatore della Bce, nell’ormai famoso documento del Gruppo dei 30, lo ha detto chiaro e tondo: il sostegno pubblico aiuta, ma nei fatti finisce col nascondere il vero problema: un esercito di aziende non autofinanziate. Formiche.net ha sentito il parere di chi le imprese le rappresenta, Innocenzo Cipolletta, economista di lungo corso e presidente di Assonime, l’associazione delle spa.

Cipolletta, Mario Draghi ha paventato il rischio un’insolvibilità su larga scala di molte imprese. Come stanno le cose?

Il problema c’è. Nel 2020 sono fallite meno imprese rispetto al 2019 e quindi nel 2021 avremo i fallimenti sia di quelle del 2019 sia del 2020. Detto questo, non c’è da temere una valanga di insolvenze o di imprese zombie, come le si chiamano. Però ci saranno sicuramente situazioni dove, per esempio, società che non falliranno saranno però al contempo estremamente indebitate e dunque impossibilitate a fare investimenti e crescere.

Soluzioni?

Ridare capitale fresco a queste imprese, non c’è scelta. Qui ci sarebbero due strade da percorrere.

Quali sarebbero?

La prima è quella di trasformare i crediti concessi in capitale, anche se vorrebbe dire un ingresso dello Stato nel capitale delle stesse aziende. L’altra strada, che io personalmente prediligo, è la creazione di un cosiddetto Fondo dei fondi. Lo Stato mette capitale in questo fondo, con l’obiettivo di attirare altre risorse ma private, magari dal private equity o venture capital, per poi rinvestirlo nelle imprese, ricapitalizzandole ma senza creare distorsioni di mercato, perché non spetterebbe allo Stato decidere su quali aziende intervenire.

Cipolletta però sempre di denaro pubblico parliamo…

Sì, ma non ci sarebbe un ingresso dello Stato nella gestione delle aziende. E poi il capitale stesso sarebbe remunerato, dunque non perso. Per essere chiari, l’intervento del Fondo dovrebbe essere temporaneo, senza diritti di voto o con limitati diritti di voto tesi a preservare i valori aziendali; si dovrebbero prevedere meccanismi di
uscita verso gli stessi azionisti o verso il mercato. Gli azionisti manterrebbero la gestione dell’impresa, ma sarebbero vincolati nella distribuzione degli utili, nei compensi del management e nell’acquisto di azioni proprie.

E a quali classi di aziende dovrebbe rivolgersi una simile operazione?

A tutte quelle non quotate, che non hanno la possibilità di raccogliere soldi dal mercato.

Parliamo del Recovery Fund. Conte sembra prediligere una struttura ad hoc ma interna a Palazzo Chigi. Ma per molti sarebbe molto meglio lasciar lavorare i ministeri competenti. Lei che dice?

La governance deve rimanere all’interno della Pa, in Italia abbiamo un problema grossissimo, ovvero il conflitto delle competenze. Noi pensiamo che la scelta migliore sia quella di dare la gestione delle risorse all’amministrazione pubblica, senza sovrapposizioni. Semmai con dei poteri speciali in materia, quelli sì. E poi il governo italiano dovrebbe dotarsi di un ministro per il Recovery Fund, supportato da un forte segretariato tecnico presso la presidenza del Consiglio.

Non ha la sensazione che l’Italia sia un po’ in ritardo sul Recovery Fund? Quanto meno in affanno…

Non più di tanto. Ricordiamoci sempre che dobbiamo spendere la maggiore quota del Recovery Fund. La Germania, che deve spendere meno di noi, si limiterà a piccoli interventi, noi abbiamo un lavoro più complesso da fare. E poi onestamente non vedo perché dovremmo correre, abbiamo delle scadenze che non sono così imminenti. Facciamo un buon lavoro piuttosto.

Cipolletta, oltre l’80% della manovra 2020 è a deficit. Questo ci impone una riflessione sul nostro debito, non la vede così?

Vede, c’è una proposta molto intelligente in questo Recovery Plan del governo. E cioè che una parte del debito, frutto dei prestiti contratti dall’Europa, andrà a finanziare progetti che altrimenti avremmo dovuto sostenere con il nostro debito. Mi permetta di ricordare come se un Paese cresce non c’è un problema debito. E quello che conta è crescere, non facciamo drammi per favore.

Il prossimo anno entreranno in vigore le nuove norme sul codice per la crisi di impresa. Voi di Assonime vi battete da tempo contro simili regole. Come sta andando?

Siamo in alto mare, il prossimo anno ci saranno molte aziende indebitate, questa legge va abolita perché comporta un sistema di allerta della crisi che rischia di attivare subito procedure di intervento su un’azienda, con tutte le conseguenze del caso.

La saluto. Ma prima le chiedo se c’è aria di crisi di governo. Magari di un Conte-Ter…

Una crisi di governo in questo momento non interessa a nessuno. E poi, se proprio vuole saperlo, non vedo grandi alternative in giro.

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