La delega ai servizi richiede un’attenzione specifica che il premier non può dedicare avendo mille altre responsabilità (tanto più con l’emergenza coronavirus). Ma guai a pensare alla lottizzazione dell’intelligence, che è al servizio del Paese e non del governo o dei partiti
Il 3 marzo scorso i contagi da coronavirus registrati nel nostro Paese erano poco più di 3.000, i decessi 107. Meno di una settimana dopo, il 9 marzo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte imponeva il lockdown generale in tutto il Paese con una diretta Facebook notturna per annunciare che l’Italia intera sarebbe diventata “zona protetta”.
Era l’alba della prima ondata di contagi. Ora, che i casi galoppano verso i due milioni e i decessi si avvicinano a 70.000, stiamo cercando di prevenire la terza senza aver capito neppure se siamo usciti dalla seconda.
Già allora su Formiche.net rimarcavamo l’importanza di un’autorità delegata alla sicurezza — e non era la prima volta: per esempio, già nell’autunno di due anni fa, in tempo di governo gialloverde, il direttore editoriale Roberto Arditti spiegava i rischi dello stallo sull’intelligence.
Il 4 marzo scorso Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence e direttore Master in Intelligence dell’Università della Calabria, scriveva che la questione del 5G “unita a quanto potrà succedere con le conseguenze del coronavirus sulla crisi economica e quindi sull’aumento inevitabile del disagio sociale, potrebbe fare valutare una sollecita nomina di un sottosegretario all’intelligence o di un’autorità delegata alla sicurezza nazionale”. E in pochi avrebbero pensato, nove mesi fa, che l’Italia sarebbe stata oggi il primo Paese in tutto il mondo per numero di decessi per Covid-19 ogni 100.000 abitanti.
“Il presidente del Consiglio”, scriveva ancora Caligiuri spiegando le ragioni della necessità di un’Autorità delegata, “oltre alla normale attività, deve adesso quotidianamente confrontarsi con la crisi drammatica causata dal coronavirus che riveste aspetti sanitari ed economici rilevantissimi. Aspetti che ancora non sono quantificabili ma che potrebbero essere mostruosi”.
La questione centrale non sono, dunque, i nuovi equilibri geopolitici con il prossimo ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca. E neppure si tratta di rispettare una prassi istituzionale che ha visto Romano Prodi delegare Enrico Micheli all’indomani dell’approvazione della legge 124 del 2007 che ha riformato il comparto, Silvio Berlusconi scegliere Gianni Letta, Mario Monti affidarsi a Gianni De Gennaro ed Enrico Letta e Matteo Renzi optare per Marco Minniti (ha fatto eccezione solo Paolo Gentiloni, alla luce della breve durata del suo governo). Il nodo è la ragione dietro quella prassi, come spiegato a più riprese su queste pagine dal battesimo dei governi Conte I e II. Delegare questa materia assai sensibile è di assoluta necessità alla luce del fatto che a essa il presidente del Consiglio può dedicare un’attenzione marginale avendo, come detto, mille altre responsabilità. Tanto più con l’emergenza Covid.
Oggi si moltiplicano gli appelli nella maggioranza affinché il presidente Conte lasci la delega agli 007. Esponenti del Partito democratico e di Italia Viva e pure alcuni politici del Movimento 5 Stelle l’hanno chiesto pubblicamente. Ma c’è un aspetto che è doveroso rimarcare. Un errore non meno grave di non affidare la delega sarebbe quello di pensare alla lottizzazione dei servizi di intelligence: una perversione partitocratica cui non si è mai assistito prima — almeno non in questa forma barbara.
Risolvere il nodo dell’Autorità delega definendo la governance dell’intelligence dopo ripetuti e imbarazzanti rinvii sarebbe un segnale importante — seppur tardivo — verso le istituzioni. Ma sarebbe anche una mossa a difesa delle stesse istituzioni e degli stessi servizi, che non possono (più) essere sul tavolo delle trattative politiche. D’altronde, sono al servizio del Paese, non del governo o dei partiti.
I servizi segreti, infatti, dipendono apicalmente dal presidente del Consiglio e lavorano sulla base dei fabbisogni espressi dal governo nel formato Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (di cui fanno parte, oltre al presidente, l’Autorità delegata e i ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, della Giustizia, dell’Economia e dello Sviluppo economico). Inoltre, sono sottoposti alla forte vigilanza del Parlamento attraverso il Copasir, il cui presidente è — non a caso — espressione dell’opposizione (oggi è il leghista Raffaele Volpi; prima, durante il governo gialloverde, era il dem Lorenzo Guerini, oggi ministro della Difesa).
L’intera architettura istituzionale è dunque finalizzata al più corretto funzionamento di questa sensibilissima, e fragile, arteria dello Stato. Ecco perché la spartizione partitocratica dell’intelligence rischia di fare più danni di quelli registrati nei periodi più bui della nostra storia repubblicana.