Skip to main content

Cosa (non) ha capito Conte della sfida Ue. Parla Scotti

La politica non si può commissariare a suon di task force. Vincenzo Scotti, volto storico della Dc e più volte ministro, spiega perché il governo non ha capito la portata della sfida europea post Covid-19. Conte? Ascolti il Parlamento, con i tecnici e i commissari non si va lontano

“La politica, deve tornare al centro la politica. Basta automatismi, task force, commissari. Non è chiara la posta in gioco”. Vincenzo Scotti sospira corrucciato. Lui se ne intende. Dc della prima ora, sette volte ministro, altre sette deputato, segue ancora con apprensione il marasma della politica italiana ai tempi del governo rossogiallo. I litigi della maggioranza, un premier, Giuseppe Conte, che si presenta al Consiglio europeo cercando di tenerne insieme i cocci. E una sfida, quella della ripresa europea post-Covid, “che non è stata capita fino in fondo”.

Scotti, cosa non hanno capito?

Che siamo di fronte a un cambiamento epocale. L’Europa sta digerendo la lezione del coronavirus. Ha capito che non si vince da soli, che serve coesione di fronte a questo cambiamento globale.

E ha anche imparato la lezione?

Ha imparato, dopo decenni, ad abbandonare le rigidità ideologiche. Ha capito che gli strumenti di politica economica hanno bisogno di una grande flessibilità. Ci presentiamo a Bruxelles in un momento in cui l’Europa ha deciso una serie di sospensioni. Il Fiscal compact, gli aiuti di Stato, il debito. Ma dobbiamo fare attenzione: se vogliamo che l’Ue cambi, bisogna far funzionare la politica. Senza affidarsi a meccanismi automatici, a task force o altre scorciatoie, assumendoci tutte le responsabilità.

Conte lo sta facendo?

Solo in parte. Scavalcare il Parlamento è un errore. Perché così si scava il solco di sfiducia verso la politica, la democrazia. All’Europa chiediamo di abbandonare i vecchi parametri, di tenere conto della realtà economica, sociale, umana del Paese? Allora mettiamoci la faccia, non possiamo delegare la soluzione dei problemi alla tecnologia o a una struttura commissariale, ricomponiamo la frattura fra politica e scienza. Possiamo avere 800 esperti che definiscono tutto, ma chi lo realizza?

Il Partito democratico è entrato in pressing sul premier, chiede di rispettare le prerogative del Parlamento.

Meglio tardi che mai. Se invece di perdere tempo in tanti rivoli inutili avessimo concentrato tutte le nostre energie sulle riforme, sul piano di ripresa, ora avremmo una precisa road map da mostrare a Bruxelles. Invece a forza di demonizzare la politica, la coesione, ci si è messi nelle mani dell’una o dell’altra élite. Sento parlare tanto di banchi a rotelle, troppo poco di scuola, università, istruzione. Creiamo nuove istituzioni e non facciamo funzionare quelle già esistenti.

Crede ci sia il rischio di considerare i fondi del Next generation Eu come una manna dal cielo?

Non se si rimane realisti. Immaginare che l’Europa cambi da un giorno all’altro, o che l’opinione pubblica italiana dimentichi di colpo il ruolo predominante della Germania nelle politiche europee, sarebbe un’illusione. La classe dirigente ha un’opportunità, dimostrare che si possono fare politiche di sviluppo che generano ricchezza e redistribuzione, senza distribuire fondi a pioggia. Sento spesso parlare di “questione meridionale”. Ma c’è una più impellente “questione Italia”, la decelerazione della crescita tocca anche le regioni più ricche del Paese. Per non parlare della produttività: imprenditori e sindacati dovrebbero saper negoziare al più presto un sistema salariale che la favorisca. Questa politica farebbe bene a recuperare la lezione della Cassa del Mezzogiorno, della ripresa post-guerra.

Quale lezione?

Negli anni ’50 l’intervento per la ripresa fu coraggioso. Non si parlò di un elenco ma di un complesso organico di opere, dall’acqua alla viabilità, dall’energia alle comunicazioni, con una visione non localistica ma complessiva del Mezzogiorno. Per di più, si sapeva incidere sui tempi dell’amministrazione. Il controllo della Corte dei Conti avveniva contestualmente all’approvazione di un progetto, una delegazione della Corte era perfino presente nel Cda della Cassa.

×

Iscriviti alla newsletter